giovedì 15 ottobre 2015

quattrocentoquarantasette


- Caicco Marsalis Vs Oto Camuso -

Caicco Marsalis vede entrare al bar Oto Camuso. Si alza dal tavolo, lo raggiunge al banco mentre sorseggia il caffè. Due chiacchiere: come stai; come non stai; a casa tutto bene ? il lavoro come va ? meno male ?!; Caicco tra una parola e l'altra chiede a Oto tre euro << Certamente ! >> Passa del tempo e Caicco Marsalis pur incontrando Oto Camuso non fa più cenno a quei tre euro che gli ha prestato. Oto Camuso è disturbato dall'atteggiamento; dice tra sè: è passato poco tempo; e poi sono pochi euro; posso farne senza; sicuramente non se li ricorda; certo che: è il disinteresse che pare esserci che disturba; inoltre mi mette a disagio il fatto di dover chiedere una somma che è risibile; mah! E passa dell'altro tempo. Sino a che Oto Camuso si fa avanti. Caicco Marsalis un po' sorpreso, si controlla in tasca e sfila una banconota da cinquanta euro << ho solo questa, hai il resto ? >> Naturalmente Oto Camuso non ha il resto con sè, e passa dell'altro tempo. Si riincontrano e Caicco Marsalis sfila dalla tasca una banconota da 500 euro << ho questa, hai il resto ? >> Oto Camuso dopo aver preso la banconota da 500 euro, apre lo zainetto e inizia dare il resto a Caicco Marsalis che rimane stordito dalla preparazione di Oto il quale sfila: 10 pezzi da due euro, 80 pezzi da cinque euro, 30 pezzi da un euro, 93 pezzi da cinquanta centesimi. Che in tutto fanno 497 euro di resto secondo i calcoli di Oto Camuso. Caicco Marsalis un po' risentito, dopo aver saldato il debito e trovato posto al resto di 500 euro nelle tasche dei calzoni, giacca, sin nei calzini ha arrotolato delle banconote; fissa Oto Camuso vedendolo negli occhi, gli dice << se d'ora in avanti non mi saluti più: è meglio ! >> Oto distrattamente con noia, risponde << cercherò di farmene una ragione >>.         

quattrocentoquarantasei


- Il delitto -

Di te mi restano innumereveli cose. Brevi ingratitudini con cui piego i sentimenti, comparse dal cabotaggio mediocre, l'alfabeto esanime, parole che sotterro o resuscito causandomi l'infermità dei pensieri ipnotizzandomi. Ti assicuro: è un gioco. Di nuovo, di noi, non c'è nulla che possa attirare l'attenzione; il nostro panorama interiore è costellato da chiese demolite, antri oscuri; l'autenticità depredata da falsari, conoscenti reclutati dall'insensatezza. Se intercetto qualche senso di colpa non lo rimuovo, lasciandolo lì a rasserenarmi; se incontro le tue sofferenze causa mia, ironicamente capisco. Come capisco gli attimi su cui svaporammo. Fummo estorti da cocciutaggine d'amore, rimanemmo insieme per commettere atti tranquillamente puri tra noi. Non può essere che così.

mercoledì 14 ottobre 2015

quattrocentoquarantacinque


- l'occhio migliore -

Eri imperscrutabile nell'angolo. Tolsi dalla tasca il mio occhio migliore. Vidi il candore annerito con cui ti muovevi: era venato dall'estasi sui bordi impercettibili del sè. Richiamavi pudore nel desiderio la giovinezza riottenuta dall'imprevedibilità. Un velo chiarisce, tutto rabbuia. L'incertezza ti disegnò il volto di plusibilità per note con cui saresti sprofondata e riemersa ebbra. Tacqui con me.  

domenica 11 ottobre 2015

quattrocentoquarantaquattro

 - la metanoia di Quercus Gonzales -

Quercus Gonzales fu preso per i capelli. Così dice, quando spiega il momento della propria malattia. Dopo l'operazione la convalescenza, e quando ritornò al proprio posto di lavoro aveva qualcosa di cambiato nell'imo. Non lo notai subito. Lo capìì dai suoi discorsi, dai suoi appuntamenti di preghiera, dalle sue mete ai santuari e chiese sparse un po' ovunque. Non ho mai messo in dubbio la conversione di Quercus Gonzales nonostante la sua vita fosse costellata di curiosità, definite contraddizioni se si guardano dalla prospettiva scettica, normali dalla prospettiva cristiana,ipocrita anti-religiosa. Quercus Gonzales è fortunato al gioco, spesso vince. Evidentemente ha una stella che brilla più di altre. Forse non dovrebbe avere il vizio del gioco. Chissà, ma la cosa più curiosa è che dopo il raccoglimento in preghiera, la quale avviene in qualsiasi luogo, ora, indipendentemente dagli impegni, pare esca dal momento di preghiera con una forza contraria, la quale sfoga immediatamente col sorriso beato di chi non fa nulla di male, mostrando p.es a chiunque i video a sfondo sessuale che gli amici gli postano sul I-Phone. L'altro giorno, mi ferma e mi chiede provocatoriamente se mi ha fatto vedere il video che mi vuole mostrare, non ascoltando la mia risposta, avvia la scena che inizia a muoversi davanti ai miei occhi, sul display: l'uomo con la barba dei trentenni pare essere del nord Europa, si cala i calzoni, prende per la briglia un cavallo pony, se lo avvicina, si sdraia supino su un tavolo, prende il fallo del cavallo, lo indirizza sull'ano e si fa sodomizzare. A quel punto incredulo gli dico che non voglio vedere e di allontanarmi il display: provo ribrezzo e schifo. Quercus Gonzales ridendo del mio sdegno di fronte alle immagini, probabilmente ottiene l'effetto che vuole suscitare e continuando a ridere cerca attorno a sè, qualcun'altro da sdegnare. A volte usa le immagini; altre volte usa le parole raccontando delle storielle. Tempo addietro mi disse. Un ragazzo si avvicina alla fontana per bere. Una voce da lontano gli urla: << non bere è acqua avvelenata ! >>. Il ragazzo risponde << io ragazzo rom, non capisce cosa tu detto !? >>. Di nuovo la voce. << ho detto di bere piano che l'acqua è fredda ! >>.  Quercus Gonzales dopo averla detta, ride sornione con la risata che gli fa sobbalzare d'inevitabilità le spalle e tra la barba affiorano i denti nel sorriso; e se l'effetto è come desidera ne produce immediatamente un'altra di nuovo: << due si trovano al caffè, uno dice all'altro " se faccio l'amore con tua moglie siamo parenti ? L'altro lo guarda, fa " no, siamo pari ! >>.  E ride guardandosi attorno contando le facce che ridono felici, come se fossimo tutti lì al bar del circolo ad aspettare che qualcuno come Quercus Gonzales ci racconti la sua versione comica e sarcastica delle cose, invece di essere lì per lavorare. Al che tutti alla spicciolata senza dare nell'occhio scompaiono.                  

mercoledì 7 ottobre 2015

quattrocentoquarantatre


- Il teatro notturno -

Abolirei la notte. Negli anni illiberali di gioventù la notte era sapore di vita da compiersi. Se non si fosse compiuta nel lasso di tempo dalle ore piccole, l'esistere l'avrei visto svanire, arretrato sul ventre del giorno, in fitta coltre di significati dagli aromi insopportabili: non vissuto e non consumato. Ora quella notte è colma di vivacità insensata, euforia invernale ai miei occhi. Vivacità che non raccolgo nell'imo, come ne fui ebbro; il passaggio temporale sul ponte interminabile del mio cammino mi vede avanzare con ciò che non svanisce di vivacità caduca; si adempie bruciando di santità sull'altare della serenità, consegnandomi avvoltolato a carezze, il sentimento delle notti di allora: inevitabili finzioni dall'accento mediocre. Per gente come me la luce del giorno ci avrebbe distinto di fallimenti a venire.   

martedì 6 ottobre 2015

quattrocentoquarantadue

 - lago d'Idro -

Le canoe sull'acqua remano in antitesi al tuono in quota. Le alghe ondulandosi sott'acqua racimolano grazie a filamenti ghiacciati: acconciature che declamano gli occhi in apnea. I fari illuminano i rospi sulla strada; mi dico: l'odore palustre mi accende i sensi, raggiungerò la meta. Da qui la chiesa, è chiave antica infilata in vetta. Dabbasso la criniera bianca è una pavoncella d'acqua inghiottita nella semiluna dell'ansa. Al triangolo del mio occhio individuo il pontile che noiosamente sta lì, riceve il cullare dell'onda sospinta da un fremito. I rintocchi della campana sul dorso dell'aria liberano il suono tracciante s'infiamma. Lassù in simbiosi a cime innevate il volo a spirale del rapace dal candido capo è legge: col rostro segue il solito e crudele spartito.   

domenica 13 settembre 2015

quattrocentoquarant'uno


- La Musa dopo la festa -

Quando ogni occhio è rapito dal vivo spento nel buio, la schiena della piazza si sfodera nuda non più sotto le suole di chi dorme nel proprio letto satollo di gioia rumori remoti per la festa che termina; ciascuno s'intrufola nella mescola dei sogni levigati ai desideri col guanciale all'orecchio steso, la realtà si consuma brucia dispiega i sensi deboli, deambulano nell'onirico. La città dorme; lei allegra spontanea bacia lui nella solitudine del centro; poco avanti il vecchio cane al guinzaglio annusa l'umidità all'angolo dove la folata si ripropone natura davanti alla Cattedrale dell'Assunta imbastita per magia, da centinaia di tubi che le reggono la veste: spilli rilucenti al sole che sorge; la solidità della torre dell'Uccelliera davanti al castello stolido imperituro; l'uccello dei venti, rugginoso presiede in cima la torre; le lancette dell'orologio determinano le poche cose che a quest'ora si muovono in centro piazza; qualche bar con la luce accesa: laggiù una figura. A quest'ora che non è notte non è aurora, mi avvicino alla figura seduta sulla panchina: un giovane uomo. Le gambe accavallate da gran dama aristocratica, indossa una gonna color carminio, le zeppe bianche, stringhe slacciate, la parrucca è bionda; guarda davanti a sè e suggerisce in chi la vede, certezza ingenuità: nonostante abbia il viso mascolino naso regolare vigoroso; a certe angolazioni ricorda un giovane efebo, altre un transessuale frustrato, ad altre ha la dolcezza dell'animo per l'amore, ad altre fragile donna dagli occhi intensi nella fissità di un luogo onirico tradita dalla stanchezza; ad altre è palpabile la noia per la festa conclusa; qualcosa di inquietante lo contraddistingue nonostante la posa femminile possa essere indolente come una sirena stracca fuori dall'acqua: ed è la sicurezza che le muse folli portano nell'amore, l'odio; intervengono modificano il destino per volontà degli Dei. La musa è abbracciata al silenzio della piazza si piega lateralmente sul giaciglio. La panchina a liste di ferro la sorregge a braccia conserte sino all'aurora quando la sua figura sarà svanita davanti ai miei occhi. Ambasciator non porta pena.           

giovedì 20 agosto 2015

quattrocentoquaranta


 - Veliki Otok -  ( Slovenia )


 Il campanile eretto svetta circondato dalle lapidi. La donna in penombra annaffia i fiori di una tomba, posa l'innaffiatoio, sorride esce dal cancello. Oltre il muro di cinta vi sono alcuni piccoli campi coltivati, dai colori spenti. Alcune case dalle finestre illuminate sono abbarbicate alle rocce, il giardino si apre su strade scoscese su cui non ci sono passi che le percorrono. Il silenzio del campo santo si deposita sereno sul panorama e nelle mani di colori che usciti tramonteranno. Il fascino della vita entra nel regno dei morti. Il vecchio mi saluta mentre passo è con la figlia in piedi sulla ghiaia bianca; la ragazza accudisce il proprio figliolo con un gioco in mano. La giovane madre mi guarda senza vedermi, presa dall'attenzione per suo figlio e dalle parole che indirizza al padre. A passo energico con il volto all'insù ammiro la guglia del campanile. Lo zaino in spalla fà di me uno straniero. Gli occhi della ragazza mi ignorano. L'uomo mi vede entrare nel campo santo, mostra interesse e curiosità verso la lapide davanti cui mi fermo. Penso allo: stato delle anime; titolo di un romanzo che non ho mai letto. Lo comprai per poter amare profondamente la Sardegna. Ne lessi altri; tutti con una sorta di metafisica barocca l'onirico nella vita con presenze nei luoghi. Una magia ti segue, non avvicinandoti. Mi chiedo cosa mi distacca dal provare amore per questa terra, la Sardegna nonostante i romanzi che ho letto, abbiano qualcosa che li caratterizzi fortemente. Ogni scrittore porta con sé una porta chiusa sul tragico il demoniaco il sacro. Mi concentro sui nomi femminili sulle loro vite che non ho conosciuto di cui non so nulla: Marija; Franciska; Ivanka; Ana; Iva; Amaljia. Un concerto secco di sassolini calpestati mi accompagna mentre mi muovo da una tomba a un'altra. Guardo il cielo striato di rosso rosa sullo scuro per l'ultima volta il campo santo. Do un'occhiata mi volto cerco il vecchio con la ragazza per dar loro un saluto: non ci sono più. Il cancello è sempre aperto, lo varco ridiscendo lungo la strada silenziosa. Il gatto s'intrufola tra cespugli sfiorato dall'auto che sfrecciava a velocità sulla strada, si acquatta sul campo odoroso fresco di poesie non scritte. Dietro l'albero distante pochi metri, due occhi lucidi di un'altro felino sbucano dalla fitta penombra. Acquattato tranquillo sorveglia il panorama davanti a sé. Al buio di buona lena passavo con lo zaino in spalla davanti alla sua visuale, come corpo ignoto che si muove non nuoce se si allontana.       

sabato 15 agosto 2015

quattrocentotrentanove


- Il lusso -

Contiene proprietà anestetiche. Rinsecchisce ogni ideale umano, rende le persone intelligentemente ebbre, spiritosamente imbecilli a crescite esponenziali.

venerdì 7 agosto 2015

quattrocentotrent'otto


 - il figlio del padre -

Nonostante fosse trascorso del tempo, tutto si fosse spento: nel volto del figlio traspariva l'alone di numerose colpe. Volontà che avevano animato la consuetudine di padre e madre. Essi avevano guastato pensieri colmi di frutti, nessun merito che si potesse festeggiare, rotolavano senza respiro dai pendii dell'amore presunto. Sebbene ammaccati non lo avrebbero mai ammesso. Recitavano se stessi nel rovescio delle colpe imbastivano argomenti che si sarebbero scagliati come frecce incendiarie nel corpo dell'altro. Privi di natura umana, si disprezzavano lapidandosi contumelie. Erano impressionati dall'infelicità raggiunta, forse suggestionati dalla felicità altrui, appropriatasi della consuetudine che per loro era stata devastante. Convintamente utopici uscivano dal fallimento rantolando vivacemente inerti a code di rettile. Corpi senz'anima. Il figlio crebbe in quell'alone controverso indossando l'abito più misterioso e candido di una vergine.

mercoledì 5 agosto 2015

quattrocentotrentasette



 - il califfo - ( porno )

per l'eroe da palcoscenico il tèt à tèt è un adagio cinematografico zoomato sull'autentico: no cogito ergo sum; il nocciolo della questione un incastro di bene male fulgido inno alla gioia sulla goccia che non trabocca da nessun vaso, gola a picco sul destino di un'esasperazione; l'arte maniacale sfacciata figurata nel binario sull'orgasmo morto per la recita non si è distanti da semplici dittatori da operetta.

martedì 4 agosto 2015

quattrocentotrentasei


- orgia -  ( porno )

tutto tranne l'amore poichè è lume illecito nella grotta, esule nella bolgia. La lingua frenetica dannata forte su corpi a caso, il sudore cade gocciante in vortici noiosi per sentimenti bradi. Siamo fatti per non amarci, chincaglieria d'amore pudore non ha proscenio, nè indossa la sventura dell'anima. Come animali il nostro lucore acceso non brilla se interrotto dal significato. Del resto nessuno dice alcunchè di articolato: un battere ossessivo di carne sulla carne. Disquisire in ogni forma onomatopeica è nel gioco. Applaudo ai sensi, la sudditanza un'ammasso di carne senza periplo nè ricami.

lunedì 3 agosto 2015

quattrocentotrentacinque


 - anal - ( porno )

nel modo in cui mi squassi poi ti liberi nel liquido ti ho in corpo, fossi giovane, sarebbe gioco ignoto il dolore che mi affascina. La sentenza alle tue scorribande ora è un urlo, privato del futuro: se nessun uomo vi fu mai concepito 

quattrocentotrentaquattro


- facial - ( porno )

tuttavia innocete al centro amore recito all'umanità l'intera messinscena fisicamente nuda di lavoro d'mmortalità frenetica dal principio, sino alla fine; canovaccio imposto di sussulti tra di noi, a bocca spalancata seguo affogo sulla lingua il tuo piacere, gioiosa guardo nella telecamera  

domenica 2 agosto 2015

quattrocentotrentatrè

- bukkake -  ( porno )

ogni misura dell'enciclica sia la benvenuta sul mio sagrato. In solitaria in simultanea disegnate sui miei seni, sulle mie labbra, tra i capelli, sul mio volto la vostra copiosa eccitazione. Scompaia ogni donna, compaia la mia espressione, attrice ingioiellata dal seme icona del mio tempo. Seppur schiava ogni destino si convogli in me padrona, mentre a noi, recito l'adagio nell'imo presso il cuore: è un dovere al mondo star da Dio. 

venerdì 31 luglio 2015

quattrocentotrentadue


 - non poteva durare -


Quando percorsi a piedi la curva, le cicale smisero di frinire interrompendo la loro simbiosi col sole. I filari di vite dalla loro altezza, sovrapponevano il verde delle foglie sul mare. Arrivammo nel borgo, vicino per i miei calcoli lontano per i miei piedi. La negoziante mi aiutò a fare la spesa nel negozio antico, moderno nei prezzi indicati sulle cose. Nella sporta inclusi una gazzosa fredda, oltre alle albicocche, qualche pomodoro, la pasta, la marmellata. La negoziante mi avrebbe raccontato di come suo marito l'inverno prima, avesse avuto un malore non fatale nonostante tutti lo pensassero. Non fece in tempo, le liste di plastica sulla porta tinnirono seccamente alle mie spalle mentre uscivo dal negozio, e la negoziante si mise a parlare con un altro cliente del ricovero del marito e dello spavento provato. Al ritorno, una donna sul ciglio della strada componeva sul proprio telefono i numeri del carro attrezzi. L'auto ferma sulla strada rilasciava odore forte di gomma bruciata. Continuai a camminare con mio figlio a fianco e non vidi la scena; ma quando giunsero i meccanici del soccorso certamente le dissero che circolare col freno a mano tirato può succedere di rimanere in panne.    

quattrocentotrent'uno


- molto rumore per nulla - ( much ado about nothing )


Con l'asciugamano steso sui i seni, la donna in bikini si gustò la brezza provenire dal mare. Per quale ragione si alzò dalla sedia cercando la baccinella, la riempì d'acqua e ci immerse il cagnetto che se ne stava acquattato all'ombra, non lo capii. E non lo capì nemmeno il cagnetto il quale ringhiando nell'acqua fredda di scatto si voltò e morse la mano della donna con la determinazione di un piragna dal muso nero. La donna colta di sorpresa fece un urlo di dolore. Le quattro figlie richiamate dall'urlo uscirono dalla tenda. Con sorpresa attorniarono la madre la quale aveva la mano immersa nella baccinella dell'acqua con attaccate le fauci del cagnetto. Sbucò il marito il quale repentinamente intervenne liberando la mano della donna. Le figlie iniziarono a discutere in tedesco per curare il morso, che pareva meno grave di come si era pensato, necessitava di una bendatura se non altro per nascondere le impronte dei denti sul palmo e il pollice. Il marito tornato dal tentativo di catturare il cagnetto che non ne voleva sapere di uscire da sotto la vettura targata F, guardò la scena delle figlie che attorniavano la propria moglie e in tono sdrammatizzante disse " jawhol " avviandosi verso la spiaggia dopo aver preso il cappello di paglia e sorridendo al cagnetto. Due figlie accertarono che l'emotività dell'incidente fosse scemata definitivamente: tornarono in tenda. La terza figlia raccolse le pinne, la maschera da sub, seguì il padre in spiaggia. La quarta figlia, la più grande delle quattro, si accertò che la propria madre si calmasse dallo spavento e si risedesse davanti alla tenda per gustarsi la brezza pomeridiana del mare; attese un momento per controllare che la fasciatura alla mano fosse efficace, si guardò attorno e dopo aver individuato il cagnetto sotto la propria vettura attaccata alla tenda, lo prese in braccio andandosene al bar, rimproverandolo dolcemente per la reazione che aveva avuto. Se la storiella ha una morale onestamente non lo sò. Sicuramente la donna padrona della bestiola reputava il cagnetto capace di sopportare qualsiasi angheria. Adesso non più.
          

martedì 7 luglio 2015

quattrocentotrenta



- dall'alba al tramonto -

La notte scorsa avevo caldo. Cercai un pomodoro nel frigo. Feci una doccia fredda. Mi asciugai nella frescura dell'aria condizionata. Mangiai un gelato. Andai al balcone con la sensazione di spossatezza che mi avrebbe lentamente conquistato e il ricordo animale di frenesia effervescente sulla pelle a contatto con l'acqua fredda. Il mio amico fuma al balcone. Mi guarda in silenzio. Poi osservando lontano mi dice che il ramadam dura sino al 18 luglio. Che il prossimo anno inizierà 13 giorni prima di quello di quest'anno. Quando è iniziato ? Mi dice il 18 giugno. Che il calendario arabo và con la luna, e i mesi hanno 29 giorni tranne alcuni che ne hanno 30. Che i mesi francesi, come li chiama lui, sono i più terribili per fare il ramadam. In Svezia dall'alba al tramonto ci sono 22 ore di luce. Qui 18. In Marocco 16. Ne rimangono poche per mangiare ovunque tu sia. In Marocco alla fine del ramadam in qualsiasi locale puoi mangiare gratis. Il ramadam è fatto per i poveri. Così dice il Corano. Poi mi guarda un po' provato dal digiuno, aspira la sigaretta che tiene tra le dita. Continua. Quando finisce il ramadam ogni famiglia fa una donazione di 5 euro alla Moschea. Noi in famiglia siamo in 5 = 25 euro. No, non si comprano le armi con quei soldi: è vietato. La Moschea li usa per sfamare i poveri. Lo dice il Corano. Cristo era un profeta, che non è morto in croce, ma Allah l'ha chiamato a sè, e la Madonna è madre per mezzo dello Spirito Santo. Gli dico che a volte leggo il Corano e mi piace. Sembra inorgoglirsi. E allora mi parla degli Sciiti e dei Sunniti. Pare angustiato per come i Sunniti come lui siano i responsabili di molte atrocità in nome della legge islamica. Dice che in realtà è un complotto: sono gli Sciiti i responsabili di quelle atrocità. Si sta bene al balcone se il vento muove il buio e i capelli umidi. Il mio amico, guarda l'orologio e si alza dopo aver buttato la sigaretta: va a prendere le figlie che sono in Moschea a pregare. Gli chiedo se fanno anche loro il ramadan: dopo i 14 anni lo devono fare tutti. Mi saluta, si volta e se ne va. 

domenica 5 luglio 2015

quattrocentoventinove



Giudicami: con me è finita. Dimmelo in frasi auree, che io possa ricordarlo in gloria e dolore per non morire cruentemente, definendo il nostro rapporto che non vada oltre: disprezzi guadagnando verità assolute. Decostruito ti appartengo nello sdegno. Amiche, sorelle con dileggio mi lapidano di fronte al tuo livore. Il mio rantolo non è il naufragare nell'innocenza: la vendetta è miele per ciascuno. Nelle vicende d'amore la femminilità è l'emotività che si costruisce e si dissolve.

venerdì 26 giugno 2015

quattrocentovent'otto


Il registro è un ironico stuolo di rondini nell'intensità del logoro vissuto tra le ciglia; non si oppone al garbo delle mie parole, mentre indago curiosamente in me. Venivo per una donna di cui non conosco il nome: svapora il grigio se una gatta siede sui miei sentimenti colorandoli.

lunedì 22 giugno 2015

quattrocentoventisette


Lieve è il desiderio che mi pervade; ti avvicino volgendo lo sguardo altrove per non morire sapendo. Di assaporare l'esistenza riconoscendomi nei nostri baci, amandoti di li a poco.  

giovedì 18 giugno 2015

quattrocentoventisei


 - seduzione del capitalismo-

Il capitalismo seduce e conquista attraverso un quid di matrice surreale. Consegna l'impulso, dallo scorrere di realtà virtuali lo sovrappone all'immanenza. Vira nella banalità, rendendosi irrinunciabile, controverso, vincente. Rinnovandosi sfugge a classificazioni assolute perdendo l'identità ne assume un'altra non riconoscibile. Nè l'uomo conosce, non avendo coscienza di ciò che non può riconoscere tantomeno recepire. Si erige a mostro, divenendo necessità irraggiungibile: scompare. Esiste tra gli uomini trasformati di sensualità atavica ridotta e umanità mediocre.        

quattrocentoventicinque

- l'incantesimo -

Si parcheggiò accontentandosi dell'amore donato; opportunamente simulò il proprio concedendolo timidamente autentico, verificando tutto: e nell'incedere degli occhi il diritto aristocratico proveniva dalla scaltrezza dei sentimenti.

mercoledì 17 giugno 2015

quattrocentoventiquattro

 - omosessualità -

Nell'omosessualità solo la sobrietà pare, non trovi spazio, tranne per ingannare.

lunedì 15 giugno 2015

quattrocentoventitrè


- qualità -

L'idiozia spesso e volentieri fa di tutto per dimostrarsi degna di attenzione.

sabato 13 giugno 2015

quattrocentoventidue

 - zerbini & e scendiletto -

La contemporaneità ha vuoti a perdere che vengono valorizzati se sono pieni di sè.

venerdì 5 giugno 2015

quattrocentovent'uno

tentare di portare a se stessi il risultato della propria esistenza, mi fa pensare che sia un'operazione parziale e materialista; un consuntivo intellettuale, un tappeto rotto di stanchezze, una stravaganza dai tratti senili; sproporzionato all'esistenza stessa a tal punto, da farmi sospirare: ma realmente mi importa qualche cosa  ?

lunedì 1 giugno 2015

quattrocentoventi



il sorriso fu l'indizio di una ennesima falsità; ogni tintinnio mi annunciava coprendo i sentimenti che non capissero nè vedessero. Li intrappolai con la semi oscurità e tacquero. Uscendo chiusero la porta di servizio. Salii sullo scranno, nudo come mi generarono attraverso il sesso. Sottraendomi attesi la voluttà attorniato dalle muse. Percepii l'esistenza fisica. Nella distanza il commiato. Briciole di santità mi attraversarono; raggiungevano l'oblio levigato in oro.  

quattrocentodiciannove

 - Morte di una poesia annunciata -

Nonostante l'odor di sterco occupasse l'aria pungente, riuscii ad apprezzare l'attimo fugace del palpito temerario sull'asfalto: erano ali multicolori mosse da una farfalla. Prima di coprirle inesorabilmente sotto la ruota.

giovedì 14 maggio 2015

quattrocentodiciotto 418


è questo il rifugio; l'antro nero con cui mi allacciasti i pensieri. Lo vedo è ieri. Oscurasti il candore dei nostri gladioli all'altezza del futuro; raggelasti l'odore che seduce ed imprigiona. Ti appropriasti dei nostri occhi sotraendone la luce, spegnesti tutto con l'impasto di melma e crollo e raccomandata di non ritorno. Pur capendo, vissi e morii: non avevo altro che noi. Ogni tanto ci penso: nè piansi nè mi disperai per aver fallito; sentii un lento defluire in me, di rancore che la vita in sucessione svaporava avvolgendola d'oblio; svolgendosi. Morivo indirizzandomi al punto per noi di non ritorno. 

lunedì 4 maggio 2015

quattrocentodiciassette


 - a mia insaputa -

l'albero nell'acqua si specchia odalisca, non odo fruscii. Mi raggiunge dal fogliame un nitido canto: è una croce; nera che vibra tra pennellate di nuvolaglia e vastità, si confonde. Con bramosia contenuta  la luce fissa l'umbratile esistere. Il viaggio mi appartiene ruotando nella diversità dell'uguaglianza. Mi ripeto mutando. La coscienza mi supera in volontà: partecipo alla ciclicità breve dell'eternità. Fisicamente mi dilato. Attraverso il presente vivo; nel concetto di futuro decadrò: intelligo così nel disegno universale. Facendone parte immagino per intero, razionalmente a mia insaputa.  

martedì 21 aprile 2015

quattrocentosedici


- il nuovo giorno -

il disegno all'aria della tortora che non vedi è amore / le nubi comodamente stanno nell'evanescente immoto / a lume acceso il giorno incede: irraggerà di vigore i luoghi / il tichettio dell'ora mesta non tornerà mai più, riprincipiando /  si respira il giorno di frescura nuova, i fiori di tutto punto vestiti  nei vasi / ai volti assonnati giunge il sole illuminato come un rovo al fuoco e al vento. 

venerdì 17 aprile 2015

quattrocentoquindici


- neologismi -

" ho sopportato tutto, ma quando mi hanno detto perquindi non c'ho più visto"


quattrocentoquattordici

 
- femminilità contemporanea -
 
la teconologia è bella: quando funziona.
 

quattrocentotredici


- B-fuel -

la filosofia rispetto alla tecnologia funziona anche quando è inutile.

mercoledì 15 aprile 2015

quattrocentododici


- mio fratello -

mio fratello è un tipo razionale più razionale di lui c'è solo lui. Sono razionale anch'io, tranne quando perdo la testa. A quel punto aspetto che il cielo me la ridia, che se no, di  pregare non se ne parla.

lunedì 13 aprile 2015

sabato 11 aprile 2015

quattrocentodieci

ciò che i cittadini non sanno, i sudditi non comprendono

quattrocentonove


 - donna -

dal lume eterno intuisco come l'empatia sia un dono; la semplicità non m'inganna, benedici per abitudine portando il garbo l'umiltà e gli occhi con diversità; la fierezza dell'esistenza nella grazia l'ho letta tutta per saper se è vero ti avvicino spingendo il destino fin dove il silenzio s'infrange; l'imo arcaico ci attrae un sussurro è l'educazione che mi promani. Di noi uniti indovino i miei pensieri pensando al copione per la prossima volta che c'incontreremo.






quattrocent'otto

 
 - Pasqua -
 
gli occhi dello scirocco spazzano con tepore i denti del'inverno; prevale ovunque la risurrezione.

venerdì 10 aprile 2015

quattrocentosette

 - essere -

a essere babbei non si muore e non si fa male a nessuno.

quattrocentosei

 - rivelazione -

quando si è babbei ce se ne accorge da sè.

quattrocentocinque

 essere di sinistra è un modo di dire, in realtà si è qualcos'altro

quattrocentoquattro

 - cromosoma evangelico -

- la vita è arte non rappresentazione che vi assomiglia -

quattrocentotrè

 la vera opera d'arte è sempre colui che vi è di fronte.

quattrocentodue

- gesto -

la brevità d'un vocalizzo racchiuso in fremiti di piacere, per noi amanti nell'intimità infinitesimale, percepiamo l'eterno illudendo i sensi, costruiti sul futuro d'architravi fuggevoli di senso.

quattrocentouno


 - la sindrome di Stoccolma -

condiviso da vittime e carnefici il capitalismo rende liberi i ricchi, schiavi i lavoratori all'interno di un modello democratico, dove il destino è responsabile di ogni colpa.

quattrocento

la nebbia mi si scolora sui pascoli dei pensieri, il tuo volto è luce nei miei occhi; catturato mi reggo il cuore col respiro sui tuoi passi avverto lo slancio di un'avventura. Non ho opportunità, non fuggo e non fuggirei. Per fedeltà ai sensi mi è impossibile non amarti; e sui tacchi voltasti l'angolo della via.   

trecentonovantanove


 - primavera -

l'incontestabile umore buono di novità primaverile che mi squassa l'euforia in parole opere e progetti come a ogni uomo in vita natural durante

trecentonovantotto


 - la sinistra ante litteram -

alla luce di innumerevoli concussioni e truffe perpetrate da deputati e dirigenti di sinistra, i resoconti delle spese sostenute dal partito per allestire la festa dell'Unità scritte a caratteri cubitali sul cartelone visibile all'entrata della festa, non hanno mai rappresentato etica e moralità cristalline del partito: era semplicemente outing.  

trecentonovantasette

                                                                 
 - tace il freddo -

tace il freddo accompagnando il giorno cospargendosi a pennellate sulle spalle d'un refolo di vento lieve sbuccia i panni. Gli appennini snudati dalle foschie e nebbie impressionano le vette illudendo a distanze prossime. Di nuovo sorge il sole occupando il cielo, come un tuorlo infiammandosi illumina corpi disegna ombre sino al declino e nell'assenza diviene lume nella tenebra; i sogni mossi da vitalità incomprensibile danzano; onorando l'atto del respiro umano incomprensibilmente.  

trecentonovantasei


 - semplicità & umiltà -

gli equilibrismi alchemici d'una borghesia tracotante senza nerbo nè misericordia.

trecentonovantacinque

- la società -

società circense e dell'apparire che induce prima o poi a fare acrobazie senza rete di protezione.

trecentonovantaquattro

- love sex -

...noi che rotoliamo sulla corolla di un fiore agitando l'infinito, danziamo dipanando l'inconsistenza cogliendone l'intensità: affannosamente, i sensi spiralati apprendono ciò a cui aspiriamo inspirando l'estasi a senso ultimo: a Dio piacendo...

trecentonovantatrè

- sex & money-

non vi è abisso se la felicità è altrove.

trecentonovantadue

- totalitarismo d'elite -

lo spirito democratico costruisce indistintamente uomini con ideali; lo spirito di mercato costruisce ricchi uomini ideali.

domenica 29 marzo 2015

trecentonovant'uno


 - politica-

La politica in crisi morale per rifarsi il maquillage ha sempre bisogno di martiri.

sabato 28 marzo 2015

trecentonovanta




 - mistica radical chic -

Ligi ad esser corrotti in vita per poter essere già in tema, una volta nella bara.

trecent'ottantanove




- i radical chic - 

Fingono in vita convinti di poter fingere da morti sopravvivendo a se stessi, come fossero dei.


venerdì 20 marzo 2015

trecent'ottantotto



- L'eclissi solare -

Si spegne il sole nell'adagio venire dito lunare sulla corolla ìmmola il giorno all'inclemente; attraverso il vetro oscuro il verde astro è morso dalla tentazione del principio. Incurante del trambusto che non affligge, è lieve il gheppio che governa occhi virulenti. E avverto l'amore per mio figlio che s'impone incontrovertibile privandomi l'orgoglio; sebbene nelle ciglia il rettile svelto, mi entri ed esca infiammando i sensi; rapido vedo il treno lo sento sfrecciare. Sotto il sole che imita la luna, su quello sfondo nero lo spicchio verde serenamente dorme in vasca.
 

giovedì 19 marzo 2015

trecent'ottantasette


- contemporaneità -

 Il principio dell'affare è unanimemente seguito dalla certezza che sia umanesimo. 


trecent'ottantasei

 - politica, fisica, economia - 

Nell'avere basi non certe si creano vertici precipitevoli.

trecent'ottantacinque



- dopo il tramonto -

 Una donna sfiorita dal portamento elegante può illudere qualsiasi uomo.

mercoledì 18 marzo 2015

trecent'ottantaquattro


 - assoluzione -

Assolvo la crudeltà della vita, per aver ideato e commesso i fatti ascrittole, dandomi l'opportunità di sezionarla in composizioni poetiche e prosa, rampa di lancio del laboratorio.   

trecent'ottantatrè


- l'essere -


L'essere ambiziosi è necessario per costruirsi una vita; uguale e diverso dall'esser persona, altrettanto necessaria per assaporarne i contenuti.

venerdì 6 febbraio 2015

trecent'ottantadue

- Schnee -   ( neve )


...nevica sulla mia città, memorabili fiocchi sulla superficie di ogni dove; strade bloccate, vetture sepolte, in equilibri precari i pedoni; l'ombrello arcobaleno ha sotto di sè un cappotto nero profumato; l'alba sorgerà coperta di neve in candida fraternità, umanità, uguaglianza. E tutti la osservano cadere in fiocchi stellati di nostalgia...

mercoledì 4 febbraio 2015

trecent'ottantuno



- la soluzione -

Ma nonostante tutto soffrivo: e sul sentiero dell'eternità e dell'oblio di noi raccolsi la grossolanità, l'ipocrisia, i tradimenti, le convinzioni di santità e giustizia, demolii le mura dell'inferno, i colori dei sorrisi li strappai tra le dita, infilai tutto in un sacco nero della spazzatura. Uscii di casa. Salii la scala di Giacobbe ristrutturata dai lavori in corso di Chagall; mi presentai alle porte dell'Inferno, sul ponte dei suicidi mi affacciai alla ringhiera, gettai nei flutti scuri il sacco; affondò riemergendo, galleggiava lucido; non lo distinguevo più, quando una lanterna fioca sulla chiatta rischiarò la pertica allungarsi; Caronte si piegò e lo raccolse: andandomene pensai alla certezza di essere libero da quel momento, da ogni affanno.  

martedì 3 febbraio 2015

trecent'ottattanta


 - il divano -


Come il tuo fiacco esistere non avesse dubbi, ma solo trame decolorate per i miei occhi; ti vidi sul divano incolore nella penombra; la coperta sulle spalle disseminata di patchwork; immobile musa desnuda mi vedesti, lanciandomi con gli occhi morti, il solito j'accuse; riprendesti a guardare la Tv cancellandomi con un ciao. 

trecentosettantanove


 - forma e sostanza -

E' la forma e la sostanza, inferme entrambe; che ci hanno retto in questi anni come perni arrugginiti di due volontà carnali; rivestite di pensieri, garbi, luci, sguardi, atti, orgasmi dalle ciglia le vertigini; e rivestirci riprincipiando il tema dell'onestà; c'ingannavamo ordinando i pensieri circoscritti all'angolo dell'amore, consumato e nulla più. 

trecentosettant'otto



- congetture -

E poi la solitudine, che rende intensa e ignara la mobilità di ognuno, presso il proprio patrimonio di congetture; mille ipotesi in un cumulo invecchiato, da cui rigerenano odorosi i concetti; racimolati ci osservano sul palmo della mano; sassi manipolati dall'alchimia plausibile, specchio riconducibile al fondo giallo, come l'oro tra i lapislazzuli.

trecentosettantasette


 - memoria -


Non dirò verità nè qui nè altrove, lascerò che il passato scorra in un flusso di limpido calore; e abbracciandoci ci stringa nell'imo entrambi, discorrendo alle nostre memorie, la bellezza, la vanità, l'autenticità; allestite sul manichino del nostro amore; accarezzandoci con la memoria e tenendoci per mano l'utopia di allora; vedo un osso sopra l'altro come un elegante scheletro spolpato dalle nostre incapacità e ipocrisie.

lunedì 2 febbraio 2015

trecentosettantasei

 - ricordi -

Mi assale un dolore inconsolabile di pensieri. Non so in che giustizia sperare; tutto è sfocato e assurdo; irragionevole tranne il senso della morte. Che nelle sue ragioni in questi pensieri, mi vive.

trecentosettantacinque


 - psicosi -

L'infelicità che ci appartenne, travestita di euforia e gloria, nella densità di polveri sottese, ai pianti che non ci ebbero, solo fiati sprecati nell'intimità per noi: non ti nego, nè ti desidero: ho la percezione di averti amato e allo stesso tempo di non ricordarti.

trecentosettantaquattro


- la forza dell'immaginazione -

Pensavo fosse amore: era l'inferno, ma accarezzai l'idea di essere fortunato, se in quelle macerie potevo immaginare.

trecentosettantatre


 - l'inconscio -

Non avevo intenzione di capire le distrazioni dei tuoi principi, tantomeno vedere la fiacchezza del tuo affetto: chiedendoti, rischiavo discussioni inconcludenti. Ma non fu possibile; nell'ambiguità di ciò che non avrei voluto, nè capire, vedere e chiedere: avvenne Dio. Nell'amore. Il quale di natura divina viene donato con la consapevolezza, che chi lo riceva sopporti, le sofferenze dovute alla sua mancanza: divenuta per me insopportabile. 

giovedì 22 gennaio 2015

trecentosettantadue




 - libertà -


 non ci sono libertà, senza conseguenze.

trecentosettant'uno


        - Helmut Tordo -


   ...a volte era sufficiente un necrologio, non suo, per tirarlo su di morale...