sabato 30 novembre 2013

duecentosedici

...che senso d'inutilità che mi pervade; svuotato e scarnificato nel profondo mi vedo al centro del mio essere; lì dove penzolano albe e tramonti e i giorni sono colonie di larve febbrili agitandosi indistinguibili l'una dall'altra, nella pietà dei miei occhi; la vita è un dono che non si raccoglie mai fino in fondo e il senso mi sfugge inesorabilmente appena lo interpello molto più di un tempo che avevo tempo: eroso. Iroso cavalco un passato remoto nel suo moto perpetuo così come lo percepisco; ma l'immanenza è totalizzante. Com'è difficile calibrarsi tra l'immortalità di un concetto  nella cancellazione delle parole che lo compongono; che senso di mortalità ogni mistero che non si svela, e che sgomento crea Dio dentro ognuno di noi davanti al trapasso riducendo lo scibile ad un silenzio muto e inarrestabile che comprime scagliandoci come schegge tra le braccia di chi non amiamo;  poichè a volte capita di credere più noi a Dio, che Lui a noi...  

duecentoquindici

Mia madre


lo fa 
sempre 
se il vento avverso le soffia contro
si aggiusta i capelli, si guarda i seni
parla al passato e il destino si acquieta
lo riduce a vocabolo da cruciverba, toglie
la pentola
scola la pasta
senza chiedere accompagna la vita
le domande non sono il suo forte , e
comunque alla vita si dà la mano sin
oltre la soglia e il bene non si paga; qualche
volta simula il ghigno della morte, ma gli occhi
non cadono nel tranello. Si consola in solitudine
facendo il bucato e stirando pensieri; qualcosa getta via
dice: sotto la neve il pane, sotto la pioggia fame; oppure
racconta di un giardino davanti casa: solo il gatto le crede.
 Così è la vita; si ripete parlando a sè, poi volgendosi verso
di me, mi accarezza.

lunedì 18 novembre 2013

duecentoquattordici

Mojito Con Foglie di Menta
 
 
 
Mescerei munifici murales
Optando ologrammi oltre
Jainisti jamming jazz, jab
In veste internazionale inusitata
Totemica tacciata, trattati
Outsider on the rocks, oppure
Cani cocktail che convergono
Oltremare oranghi
Nei negozi nuovi
Facendo filobus fantasma
Ostentando omogeneizzati o
Gioielli garruli
Livellando l'onta
Incrociando
Eco
Di
Irregolari
Minestre, minimali
Esteticamente evolute
Nuove, nonché notorie
Torride, tatuate tra tanti
Addetti, ad alamari affiancati.
 


duecentotredici

Coca Bacardi Lemon Ice
 
 
Cadenzavo cirri caste chiome
Ostentando ottimismo open, over
Calibrando confische con culottes
Agli arrembaggi assiali asserendo
Bilanciamo bambole bloccate
Animando algebrici alesaggi
Cavalcando coppe contromano
Animando anfore anaglifi a
Rotori roboanti, rettifili rose
Delineando due deliqui dardi d'un
Impresa immaginaria impressionista
Lì lambendo lingue lunghe
Elargendo encomi e
Mantenendo meriti
Osservando orientali
Nord, non negando
Ignavi, ipocrisie in
Conclamate colte
Efebiche elleniste.
 
 
 
 




domenica 17 novembre 2013

duecentododici

- Gioia -

In quel periodo di Gioia notavi il cranio massiccio. Poco incline all'ideologico essere e a cervellotiche intenzioni del vivere comune; aveva le sembianze da bovino giapponese elegante nell'apparire casual. Gioia era sorridente sempre, in quella sua struttura solida, e non lo conobbi mai personalmente, al di là del colpo d'occhio che a volte gli diedi dalle colonne del portico. E ciò che emergeva da vicino guardandolo era la possibilità che gli fosse esploso un petardo di cocaina in volto, lasciandogli il botto nel cervello oltre a quel sorriso, da paresi simmetrica ridente, garbata e sempiterna. Con l'incipit di singulti in risposta al proferire di qualsiasi parola, o frase rivoltagli, egli rispondendo, si avviava a mitraglietta con le parole, dal tono infantile defluendo il ridens dalla fessura della bocca. Con il fulcro di quel ridens che si riverberava sul ventre, un leggero tremore lo squassava nelle spalle. Ed era contagioso, vederlo così ilare, in quel fremere di vivezza, come fosse gravido di sette mesi e vivesse il nascituro in quel tondo e delizioso ventre, che manifestava pandan nell'accostarsi alle natiche che sfoggiava. Da mamy nera. Così armoniose, fasciate in quell'indossare la salopette di jeans scolorito, o quelle a righe blu forse. Ma son sicuro di avergli visto indossare quella color arancio, e lo vidi leggiadro camminarci estivo sotto il portico. Con le scarpe ginniche Superga, o All Star scendere i gradini del portico del grano, e avviarsi alla sua automobile BMW cabriolet dalla carrozzeria arancio parcheggiata di fronte al teatro, quando ancora si parcheggiava in centro. Di lontano lo osservavo immergersi nella sua vettura scoperta. Piscina brunita di pelle al sole, mentre mezzo seduto al posto di guida, con la portiera aperta, cercava di districarsi col ventre liberandolo dal volante, trovandogli la sistemazione, calibrandola  alle gambe che entravano più agevolmente del ventre ma anch'esse si  incagliavano sotto a quel volante; con la canicola che dall'alto furoreggiava lucida di riflessi sulla pelle umana del cranio calvo di Gioia, che nell'operazione - assetto ventre al posto guida - non riusciva a districarsi così fluido. E non fu fluida nemmeno la sua dipartita che narrava. Di una mattina all'alba sulla via provinciale; scontrandosi con un platano, dopo una sterzata improvvida e fatale causata da un colpo di sonno a quella velocità, di Gioia i pezzi squartati, un braccio, una gamba, la testa, il pollice il busto, l'altra gamba, un orecchio, i denti, la mascella, un pezzo di carne, un altro che sembrava un polpaccio, vennero raccolti un po' qui e un po' là col cucchiaino. Tra il fosso e la campagna. E comunque qualcuno asserì che i conti non tornavano. E sempre mi son chiesto quali pezzi di Gioia non l'abbiano seguito nella tomba, quando in quel mormorare s'insinuò che non trovando altro per completare la salma, nella cassa qualcuno vi aggiunse pezzi di selleria e motore. Tanto chi se ne accorge ?            

sabato 16 novembre 2013

duecentoundici

 
 - L'uomo - 

L'uomo osservava il mondo dal suo giardino. Costernato, sbigottito, affranto di quella calma che si prova di fronte all'inevitabilità. Davanti a quel mondo, non più mondo, che vedeva ardere sotto la spinta delle lingue di fuoco da una parte e dalle gigantesche onde dall'altra. Egli per volontà di Dio era l'unico superstite della razza umana. Come Lot nella Bibbia prima della distruzione di Sodoma e Gomorra, fu avvisato da due angeli alla porta di casa. L'uomo la abbandonò. E ora era lì. In quel luogo chissà dove; al riparo di fronte a quella distruzione, e guardando diceva tra sé  <<...l'apocalisse di Giovanni...>>.  Da lontano vedeva in cielo le schiere angeliche bianche del Signore volare di qui e di là nel porre fine all'esistenza sulla terra. L'uomo fu avvicinato e abbracciato dalla donna, che Dio gli aveva concesso. L'uomo vedeva la terra tra il crepitio delle fiamme, e l'increspatura delle acque che seppellivano ogni vita. La donna affettuosamente lo abbracciò. Dopo quell'effusione; dalla donna si vide porgere una mela. L'uomo stava per addentarla nell'euforia del gesto amorevole, e aprì la bocca. Ma nell'aprirla vide con la coda dell'occhio il serpente dietro l'albero, in mezzo al giardino che. Si nascondeva con un'acrobazia tra i cespugli, continuando ad osservare la scena di loro che tra un'affettuosità e l'altra si sarebbero mangiati il frutto. L'uomo si ricordò di aver  letto la Bibbia e conosceva la storia della mela, della donna, e del serpente, e ora verificava di persona che razza di fine stesse facendo l'umanità;  e per non essere sgarbato disse alla donna <<...sei gentile amore... e la mangerei volentieri...però sai ...che la frutta m'indispone...mi fa andare di corpo...e dai... per stavolta mangiatela tu la mela !?.. >>.         

venerdì 15 novembre 2013

duecentodieci


 
 l'ispettore Gonzalo Caprarella
 
 - un caso personale -
 
 L'ispettore Caprarella si lava il volto, i denti, si asciuga, guardandosi allo specchio, spegne la luce; chiude la porta del bagno. Accompagnandola dietro di sé, piano. Si dirige verso la camera da letto, varca la porta, si ferma. Cerca l'interruttore, ma si rivede nel gesto e ritrae la mano. Per non disturbare la moglie che dorme. Le vede la testa scapigliata. Caprarella in silenzio e al buio, scivola sotto le lenzuola e. Rivolto al soffitto lo guarda ad occhi aperti assaporando il tepore del piumone e volgendo il capo, vede la moglie. E decide. Di allungare la mano appoggiandola tra le cosce, la quale moglie sentendo la mano sul proprio sesso non reagisce, e immobile apre gli occhi e chiede <<...son passati già tre mesi dall'ultima volta ?...>>  
 
 
 
 

duecentonove

- Cargo Deluxe al bar d'estate -

<<...Le prossime notti rinfrescherà...>> si dice Cargo Deluxe ordina un drink. Di nebbia solare, luna in vimini un pizzico d'ombrello Scotland infilato nel limone a bordo vetro. Il bicchiere umido Cargo D. lo tiene in mano gocciola la bibita è fresca e irrisoria dal sorseggio rapido e liberatorio; china il capo lieve lo pregusta vivezza nel corpo. Cargo D. sfodera la tenuta balneare da cinghialino in evidenza tatuaggio sul bicipite furente, sorseggia per poi rimirarsi attorno, con il drink alcolico che fa cool CargoD. sfodera l'espressione tranquilla intende il mondo circostante  parlottando tra sé, dice...<<...e che cazzo c'è ?...>>  rispondendosi  <<...e c'è che di queste sere torride, si che ci vuole un drink: e un accoppiamento con femmina sconosciuta  dalle pari pulsioni selvatiche...>> E nel parlarsi si accarezza i sensi a quel pensiero d'accoppiamento, si sente la minchia spingere nei jeans, s'arrabatta a muso duro si ritorce, si inchioda col glande a capofitto in direzione della fessa chiusa. E si aggiusta le pudenda Cargo D. le mescola con nonchalace. Seduto sulla sedia, in angolo dove solitamente al moschettone al muro si lega il cane prima di entrare in bar. Cargo D. si gode la postura classica pop, di chi accavalla le gambe pensa ai fatti propri osserva il trambusto. Ascolta con lo sguardo l'interlocutore prossimo nel suo profilo nasale dentale come un faro notturno azionato a scatti facciali e dentali, dialogare con la ragazza che gli sta di fronte. Allontanandosi con lo sguardo Cargo D. osserva le volte del portico, rimira le architetture silenti ristrutturate di recente, tinteggiate a rullo <<... con un rutto allo zabaione...>> si dice Cargo D. <<...e che gareggia con i volti degli avventori...>> Il più delle volte perdenti sotto il profilo della saldatura morale secondo Cargo D. che con gli occhi, vede i volti ne segue le molecole di grasso lipidico, ammorbare l'aria intrise di sofferenze multiple di natura varia, aggrappate: piccole cisti nelle espressioni al volto, liriche, lucide, luride, stordite, risentite dal vociare complessivo, in un sentire fuso nella confusa miriade di parole dette in saldo sottoprezzo, leggere volute di fumo incartate al nulla. Chi deborda in una momentanea eccezione, simula l'antipasto monumentale della goliardia mima un bacio al culo di una sedia, la solleva con un braccio, performance di forza idiozia Cargo D. osserva tra sé non dice ma la barra a è bassa e Cargo D. sa quando si alzerà, un'orda di maratoneti della bibita, claudicanti, azionati con i fili del burattinaio alcolico, varcherà il passaggio a livello metaforico sbrodolando simpatia amore per tutto il mondo che li circonda. Proponendosi come risolutori di problemi che già da tempo andavano risolti <<...ed è ora di dire a basta...porto gane di quella vvacca non se ne po' più...ò ragione ho no ?...>> oppure minacciando gli astanti sobri e non, di eterna amicizia con toccamenti di spalle e palle, con baci da lumaca piantati sul collo, scrollandosi lo scroto, e tenendosi il drink in mano fautore di tante verità, per finire staccandosi dalla prese amicali, dando seriamente uno sguardo alla vita vissuta nel suo insieme proferendo verità assolute <<...alla nostra età la pancia ci vuole...>> qualcuno che gracchia <<...parla per te ...>> rispondendo da laggiù e qualcun altro che di rimando col rinsavimento di chi ha facoltà di parlare poi mai più, invia <<...si...ma ci si può limitare... >> e c'è chi tempestivo nella discussione si sbraccia, alza la t-shirt nel mostrare l'occhio dell'ombelico con la palpebra gonfia di rigatoni e penne al sugo, convertito a suo dire al macrobiotico grrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr rutta chiede scusa, t-shirt alzata gesto liberatorio nella smania di evidenziare risultati macrobiotico eccellente, auto conferendosi grrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr rutta chiede scusa, il salvacondotto per ettolitri di birra al venerdì, cagate in libertà dette senza perdita di dignità. Solo un singulto alla fine dello show lo vibra, ingoia qualcosa d'indigesto, abbassa la t-shirt chi ascolta il performer, lo ignora; guarda in altre direzioni sorseggia il drink. E Cargo D. nota ad un certo punto, la costante trasformazione di volti in maschere. Dove lo spirito, via via indietreggia a mani alzate, come di fronte ad un revolver dai proiettili di luppolo, rum, wiskey lascia spazio alle fiacche schiere di spiriti d'artificio, in quel travestimento ovvio, danno un senso di libertà dopata al gran raduno di cariatidi dalle svariate chiavi di lettura che richiamano l'arte inducono ad apprezzare i quadri di Francis Bacon dai volti sciolti; oppure paiono semplicemente avventori di un bar nel tenere, un cero di birra o drink in mano come durante una funzione di paese dietro il baldacchino della loro idiozia registrati dalla natura: con quei messi bicolori che si librano nell'aria col nome di rondini. Che tracciano virate a scimitarra sotto le volte del portico, scivolano arditamente in un guizzo nei loro nidi a igloo; fatti di sterpi là, ad osservare lo spettacolo grottesco usuale di teste calve, rasate, col ciuffo, acconciature lisce, permanentate, a parruccone di una gioventù consunta all'alba della vecchiezza. <<...e che cazzo me ne frega...>> pensa Cargo D. si alza e poggia il bicchiere vuoto sul tavolino, e. Mettendosi a seguire una tipa che uscendo dal bar sgallona il culo come una zoccola si guarda attorno per vedere, se qualcuno la vede che sta passando con la figa in saldo. E Cargo D. si che la vede, si alza con la minchia che spinge sulla fessa, la segue pensa tra sé <<...se sbaglia questa...sbaglia tutta la melonaia !!...>>.                            

duecentootto 208

A volte pare che io sia la sua ossessione per il fatto semplice di esistere. E in quel mio esistere di sovrintendere lei. Che non rende conto a nessuno di ciò che fa. Così abituata su ogni ragione rivolta a sé ad escludere gli altri. Che commettono errori, e di fronte a questi errori, la pietà dalle sue labbra è la rarità, quando l'ascolti. Nel pieno flusso delle sue ragioni esposte. Come nell'esporle essa compia la purificazione di se stessa nel pronunciare le parole ardentemente. Dalle labbra fuoriescono le vicende, e nel costruirle essa è martire ed eroina di ogni fatto, narrato. Emerge pura esanime e immacolata in quella giornata che la vede interagire con gli altri. E certamente ha ragione. Dal suo punto di vista. che segue le traiettorie di ciò che ha detto con l'abilità di modificare la realtà prodiga di manomissioni multiple su fatti minori apparentemente di poco conto. Da rendere ogni racconto esattamente, come chi lo esprime, vuole che sia. Abitato. Da una martire o eroina in una storia dalle venature epiche quotidiane. E mentre Lei si sfoga con la ragione che le deborda da ogni angolo della bocca e dove assieme al ringhiare di sottofondo vi è la femmina che vai ascoltando che. Alla fine è vincitrice di tutto e su tutti in quel cavalcare e brandire la spada insanguinata di fronte alle ingiustizie del mondo, bè. Io nell'ascoltare. Osservo e taccio. Non ribadisco. Assisto con nonchalance interesse e garbo e penso: <<...boh...le passerà...speriamo non duri troppo...! >>.  

duecentosette

Boy
 
 
come
 ti dona la giacchetta
autunno inverno color ossimoro
posato, sposato; stasera un cenno e
lei si dona vedendoti; con un bacio
besame mucho al termine delle ciglia
voulez vous coucher avec moi per quattro
danari d'amore o quattro danari e basta
la
 
c
a
l
l
i
p
i
g
i
a
 
ha imparato l'arte
 e l'ha messa da parte e tu;
la pigi: scura come il lambrusco in quindici minuti di squallore rock'roll never
non so se mi regge la pompa nella spirale  psichedelica dove l'eco delle trombe di 
falloppio; pandan ti esce da quelle di eustachio;  nella brezza che non salverà 
il mondo, ma la serata di  sicuro; bene hai speso i tuoi soldi ragazzo e anche gli
spiccioli che ti sta trafugando dal cruscotto ragazzo e tutto quello che c'è dentro
 ragazzo................................................................svegli...aaaaaa!!!!!!   

giovedì 14 novembre 2013

duecentosei 206

Normalmente ci si innamora. Ci si sposa. Nascono i bambini. Ci si separa. La donna chiede l'assegno di mantenimento. Oppure. Ci si separa dopo anni. E dopo aver saputo che si aveva una moglie. E Lei dopo aver saputo che aveva un marito. La donna chiede l'assegno di mantenimento. Oppure. Nascono i bambini. I quali non sono del marito. Come la moglie sospettava. Nascono figli illegittimi. Ci si separa. Dopo che uno dei figli durante un litigio ha detto del cornuto e bastardo al padre. E va a vivere col nuovo padre assieme alla madre. La donna chiede l'assegno di mantenimento: al padre, ex cornuto e bastardo. Il quale se vuole può scegliere se essere solo un ex cornuto, o anche bastardo in pectore nel darle l'assegno di mantenimento. In ogni caso. Come si vede le situazioni possono essere variegate ma l'elemento che non cambia è. Che la donna se può, chiede l'assegno di mantenimento. All'uomo. Che per legge stabilita dallo stato nel divorzio con prole, stanzia una sorta di: walfare per la donna. E non è una brutta idea vista dalla parte della donna. E non è una brutta idea vista dalla parte dello stato. Che così tutela i più deboli, i quali per la stragrande maggioranza dei casi, diventano i più forti. A discapito dell'uomo che invece, più passa il tempo e più diventa debole, scivolando nella povertà. Vedendosi miserabile e con buone probabilità d'incappare nella regola francescana, contro la propria volontà, e contro quella di Dio ( che non gli ha inviato la vocazione ) . Il quale divenuto povero non risulta essere più risorsa per quel walfare; così reclamato dalla donna e stabilito per legge, attraverso gli avvocati, e attraverso il senso civico sviluppatissimo della normativa che tutela i più deboli ad essere mantenuti con giustezza dalla parte forte della famiglia ( l'uomo ) che non è in famiglia, e non ha, più famiglia. Il quale uomo, scivolando sempre di più nella povertà, ad un certo punto, non risulta essere più risorsa con quel walfare, per quella famiglia che si vorrebbe nella giustezza tutelare. E nasce il problema. Che se diventa povero chi deve dare il danaro, poi non c'è più danaro per nessuno. Si secca la fonte. E si è in difficoltà. E non è nelle difficoltà solo l'uomo che non riesce ad onorare quell'impegno, è nelle difficoltà chi non riceve più quel walfare; è in difficoltà la credibilità della legge dello stato, è nelle difficoltà chi deve far funzionare quel sistema, poiché ha di fronte a sé, problemi diversi rispetto a quelli che doveva risolvere. Ci rimettono tutti. Ed è una brutta idea, vista dalla parte dell'uomo. Che non immaginando le relazioni esposte sopra in merito all'assegno di mantenimento, ma. Solo ed esclusivamente per egoismo viscerale, rinunciando ad accontentare la donna che richiede quell'assegno, e rinunciando ad ascoltare il presunto buonsenso nella legge, che norma le separazioni e il mantenimento da parte dello stato. E solo per egoismo riesce ad affrontare con tenacia quella povertà che si affaccia di fronte a sé, e che potrebbe propagarsi come la peste: che lo stato dovrebbe impegnarsi economicamente a riconoscergli un merito per quel rifiutarsi d'onorare quel walfare. Inviandogli non un'ammonizione morale, bensì un assegno di ringraziamento. Altroché.              

duecentocinque

 
- Tre angeli -
 
 Tre angeli del Signore vengono catapultati dal cielo a terra. Il primo atterra in una metropoli, il secondo su un'isola deserta meta turistica dell'occidente, il terzo in una buca di merda. Costui tutto immerdato da capo a piedi pensa ovviamente che quell'essere immerdato sia un segno distintivo del vivere in terra, e chiamando il primo angelo gli fa << ...lo sapevo che la vita è una merda...>> il primo angelo rispondendo a quella telefonata gli dice <<... sono dispiaciuto...qui non è una merda, però c'è molto da fare per ripristinare una sorta di ordine che già esiste nella natura, a cui l'uomo deve conformarsi per migliorarsi e di conseguenza raggiungere l'ordine del divino esistere...>> il secondo angelo che non aveva ricevuto nessuna telefonata pensando tra sé all'esistenza che Dio gli aveva concesso pensava <<...la vita è stupenda...si scopa, si mangia, si frega il prossimo, e ci si arricchisce...! ( ? ) ma allo stesso tempo rimuginando tra sé si chiedeva ... perché Dio mi ha messo in questa condizione dove la tentazione mi supera e mi danna ?...cosa devo dimostrare? ...a chi ?...cosa devo suscitare negli altri ? solo odio e risentimento oppure una forza contraria atta a scardinare questo comune senso dell'esistere ? ...>> Dio onnisciente e onnipotente a queste domande, che i tre angeli si erano posti una volta giunti sulla terra, rispose inviando in sogno per ciascuno: un fuoco che ardeva nella loro mente e nel loro cuore; e che l'avessero usato per risolvere ogni problema che gli si fosse posto di fronte, e che tutti gli uomini e le donne al contempo, lo avessero riconosciuto come. Amore    

mercoledì 13 novembre 2013

duecentoquattro

Senescenza
 
 
questa rabbia tua senile, ostile
che rima con animali da cortile
la tralascio, per non rubare spazio
al concetto che esprimo di getto per
poi pentirmi, maledirmi e contraddirmi
nei sentimenti a cui affido i miei nobili intenti:
questa senilità dicevo
da ragazzino
quale
sei
di una certa età
che l'esperienza
non ha reso 
maestà e
rinnega
la
maturità
per vanità, e non s'avvede
dell'etica patetica di una giovinezza avvizzita e la
saggezza malnutrita che dispensa livore; la permuta
con amore sarebbe più proficua; mi fa pensare onestamente non sia
cosa da brava gente, anche se non è grave s'intende: esser moralmente non abbiente.
 
 


duecentotre

Sentimenti
 
 
la
 temporaneità
 dei sentimenti, che
non sottostanno alla quadratura del cerchio;
se fossero perenni mi vivrei inchiavardato in
condizioni di sensibilità precaria. Nel mondo che
mi muove muovendosi e da cui
son sedotto; lo seduco
il più delle volte a mia 
immagine
mai somigliante;
 con le micro ideologie 
trasversali succedute alle 
ideologie che mi rappresentano in
schizofrenica intermittenza; così catturato
agonizzo di vuoti a perdere in suoni che non registro
mai per brillantezza mondana e bon ton: facendo attenzione
a non uscire dal coro per solitudine; e a non rovesciare il cocktail
sui mediocri per non dispiacere ad alcuno. Tranne al sottoscritto.    

duecentodue

Requiem aeternam
 
si
 disse che
 il pomeriggio
 sguainasse il sole con possanza
 inopportuna, ma confortante per chi restava.
Si
 osservò:
 come il sole
 si erigesse sulla
 compostezza dei suoi cari
illuminando gli angoli più
 reconditi dell'autunno e
  di chi seguiva il feretro.
Assolando tutto
nella brevità di
 un'enclave estiva
 e
poi.
 La sera per tutti.

duecentouno

G.
portrait
 
fuggo
inaspettatamente fuggo
con la mia eroina stretta
forte in petto.
 
I
n
s
i
e
m
e
 
 nella tersità 
di quell'ombra
buia: una brace accesa 
tra le dita, mi indica la via
per tutta la lunghezza delle tenebre. 

duecento

S.
portrait
 
senz'amore è l'inferno
e
io
non
basto
a me stesso
vi
 
o
d
i
       o       
            : poiché
siete              
    la
 mia        
       più
 profonda              
                           contraddizione.

centonovantanove

R.
portrait
 
talmente
viziato
che
non capiva come ai rimproveri per i ritardi
non seguissero poi
le congratulazioni
per la
p
u
n
t
u
a
li
t
 à.

martedì 12 novembre 2013

centonovantotto

Quasi l'alba
 
luna
e
s
i
g
u
a
ciglia                       lucente
sul
pastrano
settembrino;
unghia
di
sole
abbarbicata
al buio.
Meno
di
un
ora
e
 
a
n
c
o
r
a
il tuo artiglio ci graffierà il volto, umettando il giorno.


centonovantasette

The cannibal
 
 
ride il
clitoride
ride.
Alle tue battute:
m
o
r
d
a
c
i
ne uccide la 
lingua e poi la spada:
 e l'humor sale. Love me
tender, love me do it through.
Il pasto                  è                    nudo.

centonovantasei

 Coitus
 
 
deflagra il
seme
che
dall'imo
si raccoglie
in filamento
e recalcitra
ostruito
di nuovo
a gettarsi
sull'omphalos, nodo di
ventre eburneo appena
sopra il solco dove è
terra palpitante così
percossa
dal vomere che annuisce
inconsulto di muschi aciduli
e aspersi in spirali
e turbinii
fin oltre
le narici
dove i
venti
gemono
negli occhi
serrati negli occhi
ansimanti e intrisi
d'echi dell'origine.

centonovantacinque

Toilette
 
 ti sto
guardando
vedendo, sorvegliando, rimirando
e vedo che ti stai impegnando e
impegnati
si !
fino in fondo e alla
fine prima di usare
lo spazzettone:
tira l'acqua. 

centonavantaquattro

Toilette
 
 
 chi
usa il
bagno
 in modo
impegnativo
è
pregato
quando
ha finito
( non prima è inutile dirlo ma lo dico ) 
di usare lo spazzettone
si
si
quello li: bravo
anche sulla mattonella frontale e dintorni.  

domenica 10 novembre 2013

centonovantatrè

Requiem per una supposta
 
 
...brutta fine
i
n
 
 u
n
a
 
m
i
s
s
i
o
n
e
 
oscura.
 
Lascia attoniti...

twitter. 3 /3 / 2021

centonovantadue

Le poesie brevi
 
le poesie brevi
al centro
della
p
a
g
i
n
a
              bianca
mi danno
un senso
di
s
o
l
i
t
u
d
i
n
e
specie se no le capisco.
La stessa solitudine si trasforma
in Dio, se penso alla terra nell'universo.

centonovantuno

Mio padre
 
 
dopo aver
rincorso al 
buio il
tempo
a ritroso
 è arrivato all'appuntamento giovane
dentro un tiepido disegno in collisione
con l'aria
sul respiro notturno
spezzando
la
brina a teoremi mondani;
 con gli occhi dell'infanzia
nell'alveo l'ho guardato
dove né vita né morte
 trovano asilo e
l'
i
m
p
r
e
s
s
i
o
n
e
 che nulla mancasse: diafana e netta. Il
 respiro nel cuore battevano entrambi:
io e mio padre mai così forte, dove 
ci si ricongiunge senza pena alcuna.

centonovanta

Autunno
 
 
l'occhio del 
giorno si distese ruggine
sulla tiepida pelle di ogni cosa.
T
r
a
 
le
dita secche
dell'autunno il
 vento mugolava a scrosci
banchettando
alla
tavola delle stagioni           l'estate ancora calda. 

centottantanove

nessun uomo avrebbe la capacità d'inventare Dio. Né
onnisciente né onnipotente poiché: come quella 
potenza attribuitagli, fosse divina, la 
stessa potenza, l'uomo la
rivolgerebbe 
a sé.
P
e
r
 sé.

sabato 9 novembre 2013

centottantotto

Spirito
 
 
 
Si
nasce
p
         o
               e
           t
i
 si muore uomini:
 nell'infanzia dello spirito 
s
p          
o                  
s                          
s                 
a        
t
            o.

centottantasette

Nell'interstizio di un paradosso
 
 
Nell'opera
di
Dio
l'uomo
 giace
 eretto
nell'osservar se stesso genio
c
o
n
 
g
l
i
 
 occhi
di
carne
afferrare
l'universo creato. 
Abbandonato
un giorno
sarà lieve
 la morte:
dove 
non
 giace
lo spirito. 

centottantasei

Idee
 
 
Ciò
che ci
 convince
ci
lega
nel
p
r
o
f
o
n
d
o
 
rendendoci liberi.

centottantacinque

Miti
 
 
Ci
sono
 miti e
uomini
mito.
Uomini che
hanno un mito
e miti senza uomini.

centottantaquattro

Bambini
 
 
a
volte
 con uno 
sberleffo giocoso i 
bambini pare vogliano
simulare la
 dannazione
irridendola:
suscitando
nell'adulto
la felicità.
 


centottantatré


a Jacques Tati


Le
vostre
anemie
calibrate
alla distanza esatta. Come
la morte celebra se stessa, così ad
un pic nic tra i loculi, non mi auto
inviterei; e nemmeno replicherei
agli epitaffi sui marmi. Tuttalpiù
reciterei una preghiera 
a suffragio, un
adagio
 del
venerdì come
 il gran Muftì: al mio
Dio invocherei Jacques Tati
 <<...dà loro battuta di spirito tu che
 di spiriti t'intendi...>> e
  veramente voi vi
    sareste salvati. 


venerdì 8 novembre 2013

centottantadue

Ero in tredicesima fila seduto. All'aperto, dietro ad uno schienale dove vi era disegnato un pene, una kappa, un utero. Sul far della sera ancora ignota, vidi le ragazze svoltare l'angolo; prive di pesantezze di sorta, da esse solo il candore trapelava con cui si annaspa nello sguardo illimitato di amori aspirati: nel giovane è lo spirito; pensai. Ero in tredicesima fila. Solingo sul mio scranno color geranio, e senza tappeti di egual tinta sotto i piedi, alla corte di una piazza ossuta e non colma di rifrazioni; se la sera luminosa non spegnendosi ancora cogitava nella sua maturità; e magnifica mi relegava nella parte in ombra in quella tredicesima fila solingo e libero d'affanni di fronte al palcoscenico: senza sconcerto masticavo l'anima gradevole, glabra e priva di peli ingoiati con la lingua mansueta; porsi l'occhio da dietro gli occhiali, volgendo lo sguardo turistico all'insù. Alle impalcature scheletriche, che si ergevano seguendo l'argentina metallica pelle della torre campanaria nel suo getto al cielo; secolare ed intrepido imitando così agghindata, la torre assai più famosa di Babele. Quando nella sua interezza ne colsi l'abbaglio fulmineo, di ogni pedana e lamina rinascente in mille splendori, riflettere le ciglia delle stelle in quell'infrangersi; vedendo tutto ciò stando in tredicesima fila, laggiù solingo a sedere con la testa rivolta al cielo. Osservavo il cappello in metallo coprir la vetta della torre campanaria. E le ragazze minuscole camminare sulla piazza e superarmi: punto seduto a gambe accavallate. Non le scorgevo più, guardandole da lassù.        

giovedì 7 novembre 2013

centottantuno

l'ispettore Gonzalo Caprarella

- le quattro frecce -
 
In la tangenziale la vettura frena di scatto ....boing...! che viene tamponata... gniiiiik...sdleng...colpita nella targa che si disloca pendendo in parte. Dal finestrino della vettura tamponata sbuca la testa del guidatore: che rivolta all'indietro a quella della polizia, che l'ha tamponato fa <<...embè...!..>> Ides a fianco dell'ispettore Caprarella, anch'egli sporge la testa dal finestrino, ribatte <<...embè cosa ?..freni in mezzo alla carreggiata senza mettere le quattro frecce !?...>>...<<...ma che quattro frecce e quattro frecce...>> gli risponde il tipo <<...mi attraversa la strada un cavallo giallo al galoppo...e dove trovo il tempo di mettere le quattro frecce ??...>>...<<...haheee...addirittura un cavallo giallo al galoppo...ma che cavallo giallo e giallo... mica l'ho visto io...!?...>>...<<...haaaa...non l'hai visto...e perché...a me che mi hai inculato ...mi hai visto ?...>>>    

centottanta

   l'ispettore Gonzalo Caprarella 

- L'identità dell'uomo sconosciuto -  
 
 Era già qualche minuto che. L'ispettore Caprarella osservava stando in piedi. A fianco della propria vettura appoggiato alla portiera aperta. Tra le decine di vetture parcheggiate in quello spiazzo lungo il viale. Di lontano. Osservava il muoversi della figura. Presumibilmente un uomo. Che nell'anonimato del traffico cittadino, si spostava. Tranquillo. Rovistando nella borsa. L'ispettore a quel rovistare stava per intuire che era il momento di agire. Avviandosi. Di buona lena; raggiunse. Il marciapiede: fermandosi. Presso l'uomo, che nella borsa trovò ciò che andava cercando. Alzò la testa, e lo sguardo dei due si incrociò. L'ispettore Gonzalo Caprarella prese in pugno la situazione e disse <<...se sta per suonare il campanello...non c'è nessuno in casa...dia pure a me!...>> Il postino allungò il braccio consegnando la posta all'ispettore il quale riprendendo disse <<...è nuovo lei ? >>...<<...si!...>>...<<...lo immaginavo...quell'altro la posta me la recapitava in commissariato!...>>. E nel ritirare la posta l'ispettore si accomiatò <<...grazie !...>>...<<...prego... non c'è di ché ...!...>>.  

mercoledì 6 novembre 2013

centosettantanove


the punk will never die
Quando David Bowie cantava Starman, Rebel Rebel, Change;  Lou Reed  Sweet Jane; Mick Jagger pagava le spese processuali dei Sex Pistols sempre nei guai; la madre di Sid Vicious comprava l'eroina per il figlio; i Clash cantavano London Calling i Suicide di Alan Vega e Martin Rev comunisti sino all'osso cantavano Ghost Riders e Frankie Teardrop bè in quel peridodo lì dove il mix, di Love will tears us upart dei Joy Division era la canzone più struggente e meravigliosa: Ian Curtis autore e cantante di quel brano, si suicidò. A quella notizia Trasco Mogo Roio detto Scroto si chiuse il giubbotto borchiato con la zip, e guardando Lodo Rixius con scoramento (...da cane bastonato avrebbe detto un esterno che passava di lì...) con compunzione come in quella compunzione celasse la commozione per quella notizia: intensamente e sommessamente gli si rivolse <<...hai saputo ?...hai saputo di Ian Curtis ?...che si è suicidato ?... >> Lodo Rixius annuì e Scroto riprese  <<...sai ho riflettuto... !...mi suicido anch'io !!...>> Lodo Rixius annuì prendendo tempo per rispondere; che era buona cosa riflettere, sdrammatizzare, sminuire e intervenire chirurgicamente a quello che aveva detto Scroto: che se uno dice niente e sottovaluta la cosa, tz, va a finire che costui si ammazza per davvero: e allora guardando Scroto che stava sotto la propria cresta bionda e il giubbotto nero con le borchie immaginando la propria morte,  per impiccagione, per barbiturici, lancio dal ponte sotto il treno, lancio dal ponte con annegamento in acqua, gettandosi dal balcone di casa, con un ago nel braccio per overdose; Scroto immerso in quei pensieri  udì Lodo Rixius intervenire laconico e lapidario <<...Scroto...se ti suicidi...non frega un cazzo a nessuno!... >> Scroto a quelle parole sentì nel cuore tutte le sue idee suicide volare e crollare a terra. Gli anni passarono. Passarono i lustri. Passarono i decenni. Scroto divenne manager di un'azienda. E capo di molte persone. Ricco elegante con una vettura potente e tutto di un pezzo ( ...di merda, avrebbe detto un esterno che passava di lì... ) quasi arrogante con quel relazionarsi nazista tra colleghi, e disprezzando il buon senso, se più di una volta fu visto da persone fidate, alzare il saluto nazista. <<...Heil...!...>> Lodo Rixius dopo molti decenni lo rincontrò e notò immediatamente che Scroto non si sarebbe mai voltato verso chi l'avesse chiamato con quel nomignolo con cui si conoscevano da giovani, ma piuttosto si sarebbe degnato di assistere a ciò che avevi da proporre come argomento, se tu ti fossi fatto attenzionare, chiamandolo signor, commendator, dottor, Trasco Mogo Roio e lui con falsa modestia si sarebbe concesso in un cenno di ricca umiltà ascoltandoti, come per riconoscenza sordida nelle labbra ripiegate dallo sdegno: razziale? A questa impressione Lodo Rixius aggiunse quel fatto di molti anni prima avvenuto tra loro riguardante il suicidio, e di come con una frase a volte si possa cambiare la vita di qualcuno; narrando la vicenda a Lonko A. mentre passeggiando chiacchieravano; mettendo in evidenza di come la stessa vita possa cambiare e allo stesso tempo essere beffarda. Lonko A. nell'ascoltarlo attentamente si voltò verso Lodo Rixius che si era zittito dopo quell'osservazione; e intensamente come rimproverandolo gli disse <<...ma quando ti disse che si voleva suicidare... non potevi startene zitto ? e farti i cazzi tuoi... che se si fosse ammazzato ci faceva un favore a tutti quanti ?...>>.                   

martedì 5 novembre 2013

centosettantotto

...viviamo in un mondo dove le persone tengono talmente ai loro sentimenti, che raramente li usano per qualcuno; eccetto il proprio cane...

centosettantasette


Fiat Lux

...e
                  fu         il mondo.
P
o
e
s
i
a
                         complessa.                                          
                                         M                                    
                                              a                                  
                                         la   sintesi :     
        è
 
n
          o
                     t
                                e
                     v
         o
    e...           

centosettantasei

Senza titolo



spesso
              il
         g
      e   
   r      
   m           
  e                 
 del
                    conflitto
                                                    s'annida
                                                                 nella
                                                                                    ragione
                                                                  a
                                                                         cui                
                           ci affidiamo
p
     e
         r
 
                la
                       sua fama                              

lunedì 4 novembre 2013

centosettantacinque

 
                 Fisiognomica
 
Donna                 
 fiera
          i
               n
 e 
n     
t        
r        
 a        
   m     
    b  
         i   
                          i sensi

centosettantaquattro

 
 
Hannibal
 
 
 
Femminea
mi seduce la forma
di linee incavi e sporgenze
graffiando il disco dell'iride.
E mi getto un'ipotesi
 addosso in fune col
nodo da marinaio
 incluso
tra il malleolo e il monte di venere per
l'idea che segue. In rifrazione che
 si replica linearmente in
un gesto quasi
involontario
 indecente.
E
l'idea
 che
 t
o
r
m
e
n
t
a
 crea 
supplizio
da novizio
 al termine
 delle dita: mangiartela.

centosettantatre

 
 40 enni
 
 
T
     e
         m
              p
                    u
                         s
                f
              u
            g
          i
       t
che
 né io né la mia
 g
 e
  n
   e
    r
     a
      z
     i
    o
   n
  e
 abbiamo
 avuto il tempo di cambiare il 
g
u
a
r
d
a
r
o
b
a

domenica 3 novembre 2013

centosettantadue

Un istante
 
 
Un istante  
d'amore 
o   s  c  u  r  ò
l'
e
t
e
r
n
o
                                    i                                               
     m
           i
                n
        u
t
i       
      sbocciarono
                                    morendo
                                                    le
                                            ore
                profumarono
                   sazie                 
la mia anima
 si
schiuse
giovane e antica.
Nulla fu più mortale
nulla fu più mortale

centosettant'uno

Low Cost


e
il sole
 preme;
 insopportabile lo
sperone sullo zigomo
 trinciato forte. Di Dio per
Dio che Iddio concede 
 interviste  quando sei
a carponi sulla via
tra sirene petulanti
e clamori d'arancio
ad alta visibilità; e
lo senti quel Dio
a cui obbietti
 il giudizio
lo supplichi
con la
richiesta dello
spostamento del
giorno dell'addio; che ti consuma
nel digiuno salmodiando
chiodi di sudore e
 liriche nel ventre
mentre flebili dalla
carcassa sono il tremulo vibrare
di un obolo per qualsiasi viaggio
dalle solite piste di decollo
 tagliate con                                       la calce.     

centosettanta 170

Ci riconosceremo dagli occhi e la natura c'illuderà: sarà per sempre; e quando l'opera sarà compiuta ci abbandonerà in un dedalo di conflitti dell'inappagato amore; ci riconosceremo dall'eco allora, di ogni litigio, e di ogni dubbio nel vederli assisi alla nostra tavola; come due querce in un campo spoglio. 

sabato 2 novembre 2013

centossentanove 169

Da Lei non mi sento amato. E non ho memoria nitidamente di come ci si possa sentire, quando si è amati. Sicuro non lo ricorda nemmeno Lei. Solo un accenno interiore di sussulto si manifesta per entrambi, quando una parola proferita tra noi, o esterna a noi, risulta essere accordata nella gentilezza. A cui nemmeno a questa sono più abituato. E nemmeno Lei. A parte questo; dell'amore la perdita che ne ho, non mi pare grave. E per questo motivo che mi dico che potrei rimanerne privato senza patirne sofferenza. Andando avanti, proseguendo. Così, dimenticando definitivamente, la sua intensità dove si stende, la sua incisività dove penetra. Come già, mi avviene per altro. Del resto; tranne un fastidio non ho altro sentimento, che mi assalga. Quando l'amore tenero e delicato mi si manifesta innanzi, nella sua più consueta e cruda rappresentazione di due giovani, per esempio: che naturalmente si amano in un bacio, casualmente, spontaneo. Dello stesso amore in cui credevo anch'io, e pur di difenderlo avrei dimostrato a tutti, esattamente come quei due, che di amore ci si consuma sia di baci che di corpi. E questo sentimento che provo, che è l'esatto contrario di quel bacio, e che ti raggiunge orientando le tue riflessioni incuneandosi con il passo di un estraneo dentro, dai tratti conosciuti; è comprensibile per una persona come me. Che non sempre si riconosce, nonostante sia, suo malgrado, tuo malgrado, malgrado tutto.    

centosessant'otto

...a volte ho il petto pieno di lettere confuse e le sento lievitare nella mente riempiendomi; fisicamente della necessità di scrivere una poesia, che poi definisco surreale; se in quello scrivere spengo la razionalità; seguendo nella composizione l'armonia naturale di una struttura; che per vivere debba essere in ciò che narra; il respiro: nella forma libera da me, che ne sono l'autore... 

venerdì 1 novembre 2013

centosessantasette

La pigna fu raccolta al vespro. Presso la seduta d'una poltrona di prima fila in sala proiezioni. Solinga nel mare porpora di moquette; si vide cogliere da mano ignota; emanò un secco suono al tatto prima di entrare nella fodera della tasca dei calzoni. La pigna in quel luogo osservava come essa  evocasse le maestose forme della natura di quel giardino che vi è, entrando e uscendo dalla sala proiezioni. E come dal giardino vi sia la vista dell'arena prospiciente l'acqua; quell'acqua enucleava le vastità, colmandone gli screzi azzimando tinte e forme allineandole al cielo docili, esplicando ai sensi umani, come la natura non sia seriale, con quei monti che stavano adagiati  al loro pediluvio: la pigna fu raccolta da quel paesaggio. Gioioso e fremente come l'occhio di conquista della pupilla giovane che in quel giardino vedeva tutto galoppare in un sol segreto, riposto e custodito in quella pigna sul palmo. Del fanciullo. Il quale come la raccolse dal giardino; la perdette in sala proiezioni nell'umano amore. Di come il giorno si presenti nuovo, poi andrà perduto.    

centosessantasei

Il  lemure intellettuale
entra nel baccanale
glissa l'iperboreo
muta strategia
p
r
i
l
l
a
la carega la 
p
r
i
l
l
a
con
 maestria.
 Ciak si gira.
La regia è
poesia invisibile
al plausibile, per
applausi contenuti
con sapienza, l'incontinenza
del verbo in maldicenza; scientifica è l'utenza che
migliora l'evidenza in un rito; libero stabulario trito e ritrito
di eburnei glutei accodati, in cui la pratica del dileggio ed ermeneutiche sociali
sono abitudini sleali. Punto. Ti invio 4 piume da codardo da ruminare in solitudine in campo largo.
 

centosessantacinque

Mattina d'estate
 
Stella fresca e
  sovrana nel
vasto
 prato
di
razionalità lucenti
rinasce
in cielo
il mio
occhio
stamane
di felicità mistica

centosessantaquattro

Il poeta

Il
poeta
p
i
a
n
s
e
 i primi versi
nell'ardore delle cosce
declamandoli
 tutta
 la
 v
i
t
a

centosessantatre

La gnocca

Le
 donne
  amano
il prorio
salvatore. E che non sia
Cristo
che
 sdebitarsi
senza
dar via
la gnocca:
diventa dura.

centosessantadue

vorrei esser
saggio
ma
 non troppo:
mi vien da dire.
Senza errori miei
non saprei su cosa
riflettere e gli errori
altrui
mi paiono
solo pettegolezzi. 


centosessant'uno

Parole
inerti
in successione
di cadaveri perfetti agli
angoli della bocca stille secche, piene
zecche di bellezza che salveranno il mondo
dalle caligole inzaccherate schiantandosi allo specchio
g
r
i
f
f
a
t
 o.
Come
 si               
vola                          
 in                                       
                alto                                                     
                              statici                                                          
in canna
                          cularia
                                                         nel burro.
                   Saldi a terra. 
P
e
r
t
i
c
della
cuccagna.
Ci spertica in 
 versione per adulti.
Il lupo e l'agnello.
Sangue sul rostro
nemmeno un po'
 solo inchiostro.
Cognizione
di causa
 pausa:
 
velo pietoso.
E contro velo.
Glabro ragazzo, glabro.
Ti invio 4 piume da codardo da ruminare in solitudine in campo largo.
 


centosessanta

non
ha ancora
digerito Jane Austin
la maestrina. E
si
da fare.
La parte
peggiore
migliore
di me
rammenta:
se avesse orgasmi in versi avremmo, un poeta in meno e una donna in più.

centocinquantanove

Il
vino
era colore liquido
nella cornice di vetro.
Ci agitavamo in dipinti
di ebrezza, realisti e
astratti
surreali.
Quanto
surreali eravamo.
Capolavori tra i colori
ribelli; che di schianto
ribollivano sull'asfalto
fuoriusciti dalle viscere
per la bocca a fiotti.
Tracimando
P
o
l
l
o
c
k
in maleodoranti pozze.
Si tornava carne all'origine sempre; poco prima dell'alba.