lunedì 19 dicembre 2016

quattrocentonovantadue


 - Il reading di poesia -


Gli occhi tiroidei del barista salutano la poetessa etiope. La cuoca dal viso giovane brava nel fare i buffet per l'aperitivo li osserva nella sua camicia di voil, svolazza alzandosi afferra al banco una birra si rimette seduta con loro. I due tipi seduti al tavolo assorti nella partita di scacchi sono seguiti dal metronomo: l'ago oscilla nel tic tac. La cuoca osserva nel labiale un concetto che espone la poetessa etiope al barista con gli occhi tiroidei. Il tipo occulto entra al bar col fare occulto le mani in tasca si guarda attorno incrocia lo sguardo del barista minore gli dice in labiale " affè ò rappa " ( caffè con grappa ) osserva i due assorti dalla partita concentrati alla mossa sucessiva non gliene importa nulla di chi viene di chi và. La poetessa etiope sotto il riflettore degli occhi belli della cuoca spiega nel dettaglio al barista dagli occhi tiroidei che la serata ha intenzione di impostarla in quel modo. Il tipo occulto paga il caffè corretto grappa al barista minore, siede nell'angolo per leggere il giornale in santa pace, si toglie il giaccone lo appoggia sulla sedia. Il barista con gli occhi tiroidei si alza dal tavolino prende il borderò dietro il banco del bar, dice due parole al barista minore, torna, si risiede con la cuoca dal viso ovale la poetessa etiope. La cuoca e la poetessa parlottano per un po' ridono per qualcosa di buffo che il barista dice. Alcuni avventori dietro di loro sono divertiti dalle risate delle ragazze. Cheguevara col pipullo da arci gay dietroo la nuca, guarda con l'espressione antica di Robert Michum quello del film " La morte scorre sul fiume " con tatuate sulle dita della mano nell'una love nell'altra hate, dove interpreta il prete che vuole redimere la vedova, la uccide spingendola con la vettura nel fiume. La scena di lei in fondo al fiume con la capigliatura smossa dalle acque delle correnti profonde è strepitosa, simile per intensità a quella di Sogni, film del regista Kurosawa dove il vecchio con la barba bianca indossa la tunica bianca altrettanto bianca col viso stravolto ( mi ricorda Mosè o Gesù dopo aver incontrato il Padre )  scende correndo dal crinale montuoso. Immagini che nel mio mondo hanno un impatto eterno, cmq dov'ero rimasto ? che le ragazze ridono e Cheguevara col pipullo arcy gay le osserva compiaciuto. I due arabi laggiù discutono animatamente dei loro guai. La cuoca abbassa il volume della musica da Calvin Harris la programmazione è passata alla techno house tunz, tunz, tunz che ricorda offcine meccaniche della zona industriale. La partita di scacchi è terminata, in due mosse la Regina ha fatto scacco matto; con mosse rapidamente pensate uno dei due giocatori l'accompagnata con soddisfatta ilarità davanti al Re dell'altro, il quale silenzioso si è lasciato andare ad un borbottio con la Madonna; alzatisi allacciandosi il giubbotto i due in dialetto stretto tra battute moderate escono dalla porta. Il tipo occulto continua a leggere il giornale nell'angolo meno rumoroso. Cheguevara col pipullo da arci gay non c'è più, al suo posto al bancone del bar ci sono tre tipi di mezz'età dal viso anonimo. Il barista con gli occhi tiroidei torna dietro il banco del bar prende il computer portatile. La tipa con la cuffia ghepardata i capelli tinti di biondo viene avvicinata da un tipo dal passo poco rassicurante testa pelata barbudos occhiali a specchio giubbotto da motociclista e dal fare grossolano. La poetessa etiope apre la borsetta, la cuoca guarda il cellulare, il barista con gli occhi tiroidei muove il joistick. La tipa con la cuffia gheopardata bacia il tipo barbudos, si stacca briaca guardandolo negli occhi dicendogli ho voglia, beve il drink, mentre il barbudos eccitato come un somaro da monta la stringe al sè le dice una sporcaccionata all'orecchio, lei compiaciuta ride come fosse nuda. Il tipo legge il giornale: l'articolo dev'essere interessante se non è disturbato, i due arabi sul tavolino hanno accumulato una discarica di bottiglie, almeno una ventina di Heineken, quello più agitato ora ha le braccia conserte dorme, la prende comoda la chiusura del locale è all'alba, c'è tempo per la penichella dopo sbronza. L'altro straparla al telefono con uno che è strafatto come lui, bisogna dire che sia così, se nessuno dei due riattacca, continua a gesticolare in estasi come se pregasse alla Mecca o dopo un goal. Al bar gli avventori attendono il barista minore che sta shekerando un drink. Il matto del paese si posiziona la birra all'angolo del tavolino; la osserva ipnotizzato come fosse la Madonna con una lacrima che le scende dal viso, nel frattemmpo si strappa idealmente un biglietto per la sonnolenza, che lo fa piegare ad occhi semichiusi da una parte mantenendo la prospettiva sulla bottiglia non perdendola di vista; beve dal bicchiere, lo riappoggia si chiude in sè a braccia conserte come ascoltasse ribadisse ad un interlocutore in silenzio di fronte a sè. Issia Fussia Sarissia pavido parvenù, scarpe lucide, look nobile, cuore ignobile, l'espressione da subalterno, vive la superbia del filosofo neo liberista lavora sul massimo disimpegno per se stesso, il massimo impegno per gli altri, che nobilita quando sono utili al lavoro, una sorta di genio con lampi d'imbecillità, sfrutta coloro con cui ha relazioni: entra al bar. Incede tronfio edonista reganiano degli anni 80 cui è rimasto legato per mediocrità: vede gentaglia, pensa che l'immigrazione sia miseria ma anche opportunità, straccioni che se li fai lavorare li paghi una cotica ti dicono grazie, l'inconveniente è: se non li paghi ti puoi ritrovare con le budella in mano e onestamente non è bello nè da immaginare nè da vedere. Con l'espressione di chi soffre di stipsi compra un biglietto gratta e vinci aderente alla sua realtà dove il motto gratta e vinci gli ricorda che è una virtù. Raschia lo getta da perfetto pavido parvenù esce con l'espressione della labbra esangui. Un colpo di tosse il tipo all'angolo chiude il giornale guarda la porta vetri dietro al parvenù uscito; con lo sguardo cerca la toilette. La cuoca col viso regolare, si alza va al buffet, la poetessa la segue, sul piatto di plastica sorridono mentre scelgono gli stuzzichini, la poetessa torna al tavolo si versa il te nella tazza. Il barista con gli occhi tiroidei chiude il computer portatile si alza, la cuoca gli si siede di fianco, tutto dovrebbe essere a posto, l'accordo è stipulato il reading di poesia si fa, non prima di essersi rassicurati dicendosi " se c'è qualcosa ci aggiorniamo ".           

domenica 18 dicembre 2016

quattrocentonovant'uno



 - Mano de Dios -

A volte mi capita d'incontrare al bar di tendenza super eroi dalla postura compassata formale, donne vogue di fuori vaghe dentro, cannibali del relax, alle pause ai party sui tramezzini ci si buttano a pesce morto che puzza dalla testa ai piedi, altre, con l'espressione sussiegosa conosco tua sorella / tua fratella, col piglio pusillanime appiccicato al volto, col cervello swich off, quello da resettare praterie di sciocchezze, con spessori morali da contaballe, chi l'orecchio abbassato da fedele cortigiano, altri aprono il Suv col telecomando da decine di metri in stile narcos, figuranti d'autore per film psichiatrici di terzo ordine, jet set tra il 5 / 6 da piccola città di provincia, altri con garbo da punk gesuiti col cane nell'abitino trandy entrano al bar, divi locali con le penne da pavone a spigolo vivo, divi di provincia lustri come le mele al mercato, ed è certo, è sicuro, assodato se uno viene al bar di tendenza non ci trova mica gente col cordone da francescano che gli penzola dalla cintola, nemmeno col rosario tra i coglioni che ciondola tra un passo e l'altro, ci trova gente splendente brillante sin stucchevole che dà un senso prezioso e di decoro alla propria esistenza sul piatto dell'immortalità, in ogni caso genia piacevole cordiale che conversa con l'intensità dell'aria fritta le pieghe sviluppate di decubito nei gomiti, cristi senza fede, donne dispendiose, altere, ristrutturate d'insana pianta, oppure illetterati del genere colto dallo specchio servile vivono magie da circolo borioso; mentre sto seduto sullo sgabello design Bahaus, bevo birra lager come bevono gli hooligans prima di entrare allo stadio con i pensieri rivolti alla vittoria dei loro colori sociali. Viceversa ho pensieri di altra natura. Lieto con l'aureola che mi rincuora circola sulla testa a forma di giostra su cui la bambina con la gonna afferra il cavalluccio per il collo e mi sorride, o un'immagine più intima che mi riscalda il cuore: nuda si alza dal letto si dirige in cucina cerca qualcosa di sfizioso lo mastica tra occhi lingua respirandolo dal naso. A tavolino sedutomi di fronte, l'amico creativo non omologato al sistema: il pesce grande mangia il pesce piccolo, mi allieta l'umore narrandomi di famiglie nobili, aristocratici come fossero calciatori, superiori, inferiori, geniali, di classe, portatori d'acqua, brocchi, strateghi, leziosi, figli sciagurati, senza talento, super eroi con la puzza negli abiti come i Pakistani. Mi parla di arazzi fiamminghi, di stole, pettegolezzi, di chi fa l'amore con chi, altre volte della grandezza dell'arte, della piccolezza di tutti noi, mentre parla, interpreto parole, gesti, sino a percepirmi esternamente: mi giudico. Troppo di tutto, poco di tutto, mi correggo nell'essenziale. Del mio amico delirante con ipotesi d'equilibrio misurato rimango sempre incantato. Mi fa pensare che nella realtà si può dire tutto, di tutti; le parole nel corso dell'uso hanno acquistato una loro indipendente corporeità: del mio silenzio si potrebbe dire che non è altro che un delirio a spazi smisurati. Sarei capace di dimostrarlo. Altre volte m'ignoro, poi un'idea cestinata mi ricompare universale: il duello è vincente, con truppe della certezza la nebulizzo al nascere. Altre volte fuori da ogni concetto, con le piume mi deposito su miriadi di cose altrettanto volatili, per ricomparire in tutta la mia forza convinto di poter dire l'ultima parola da umano. Bevevo lager col mio amico sedutomi di fronte a tavolino, mi alzai pagai il conto. All'uscita voci brusii del locale si allontanavano, camminando inghiottito nel silenzio della natura dormiente, alberi, vetture, semafori lampeggianti, percepii al buio la scintilla d'amore nella mano de Dios, la quale mi raccolse rendendomi invulnerabile in carne ed ossa.  


* Precisazione su quello che ho scritto:


" Donne vogue di fuori, vaghe dentro " è una battuta umoristica in una striscia del fumetto Andy Capp disegnato da Reg Smithe.
 

Tempo addietro conversavo piacevolmente col mio amico dalle capacità utili / entusiasmanti, come un sacerdote laico in camera caritatis mi si avvicina confessandomi: << non hai idea di quanta gente sia fuori di testa, Dio mio, li ascolto e non so mai che faccia fare !? >>. Sebbene il mio amico dalle capacità utili/ entusiasmanti non sia quello del racconto, mi è venuta l'idea di scrivere qualcosa di pungente a tema. Niente di personale nei confronti d'una categoria di uomini e donne, semplicemente un palcoscenico di attori casuali da descrivere in  toni satirici / fumettistici.

Satira: dal latino satura lanx. Vassoio di primizie in offerta agli Dei. Genere caratterizzato dalla critica alla politica e alla società.
    







domenica 4 dicembre 2016

quattrocentonovanta


 - Va mo là -


La rezdora parla accalorata dei regali di Natale. Gesticola con fare repentino, non li vuole. Preferisce farseli da sè se ne ha bisogno, i regali son fatti per piacere se non le piacciono non li vuole. Al marito fisso alla videata del cellulare senza pudore gli ricorda, non rimproverandolo che lui: non spolvera, non lava, non stira, non sa fare da mangiare. Rivolgendosi all'amica, le dice che l'ultima volta che le ha fatto un regalo ha speso un sacco di soldi per delle rose. " Roba da fare ? Era inverno, dove le metti le rose ? al freddo ? due giorni, i boccioli sono cotti, durano poco in tutti i casi, dove le metti muoiono ". Il marito col volto da natica smagrita tende le labbra nel sorriso, la litania lo diverte; la rezdora humor aggiunge di non ridere, ridendo. L'amica chiede se stò povero marito non ha delle qualità. La rezdora elegantemente risponde che il marito l'unica qualità che ha, è nella firma; non pare nemmeno sua. Ride della battuta si stempera chiede all'amica se suo marito che non dice niente e le è di fianco, è vivo o morto. Silenzio. Poi ridono di nuovo, parlottano dei foulard che hanno al collo; li hanno comprati in sconto allo stesso negozio all'angolo " un vero affare no ? " La rezdora houmor riprende le redini in mano. La tavolata di amici non la sta più a sentire. Alza il volume della voce, annuncia che a pranzo cucinerà il cotechino col purè e fagioli. Alle figlie distratte anch'esse dal telefono aggiunge che diversamente se il pranzo non è di loro gradimento " andate poi a mangiare al ristorante, va mo là ".