domenica 24 agosto 2014

trecentotrentasei


- l'estate e l'autunno -


In quei giorni andò così: non si sarebbe acceso il barbecue, nessuno avrebbe cenato all'aperto, chi ripose la canottiera nel cassetto, il bel vestito comprato a poco prezzo che esaltava i fianchi l'avrebbe lasciato nell'armadio; chi l'avesse indossato l'avrebbe abbinato con stivali pesanti e un puloverino; chi aprì l'ombrello, pronto d'ora in poi nel baule dell'automobile e chi ancora non avrebbe indossato i calzoni lunghi; chi parcheggiò la bicicletta o lo scooter in garage e utilizzò la vettura; chi scelse tra i maglioni il più adatto non disdegnando la giacca se non si fosse deciso su cosa fosse meglio in base a com'era il tempo; chi avrebbe avuto il K-Way sempre pronto da qualche parte e al supermercato non si sarebbe acquistato il cocomero e nemmeno il melone ma qualcosa di più invernale; l'estate nei suoi alti e bassi sembrava al tracollo scomparendo nell'autunno che dagli occhi raggiungeva la mente delle persone; trionfando profetizzava il proprio arrivo riducendo con le piogge tutti i giorni; secondo il calendario era Agosto; Ottobre si era insediato così, convincendo tutti di essere egemone in quel lungo abbraccio al tempo; chi aveva preso le ferie in quei giorni li malediva; qualcuno asserì "...piove sul bagnato..."; qualcun'altro più ispirato che le piogge autunnali danneggiavano giorni che non gli appartenevano; o filosoficamente: che l'autunno toccava a tutti con la propria volontà di esistere in estate; giocavo una partita a carte, alle mie spalle guardando fuori dal bar  il cielo oscurarsi qualcuno disse "...l'estate è finita...!..." le piogge cadute avrebbero portato freddo sino ad Aprile; avvalorarando ciò che diceva aggiunse " ...l'hanno detto anche alla televisione..." calando l'asso di danari dissi "... speriamo di no!... stamattina ho aperto la finestra del bagno che era estate, l'ho chiusa a sera che era autunno...si può vivere la vita in un posto così...? "      


( la battuta del finale non è mia, ma è di un comico Inglese di cui non ricordo il nome )

trecentotrentacinque



 - la mia città -


camminando sulla piazza della mia città; contemplo le lancette dell'orologio del campanile che girano da secoli per gli occhi degli indigeni; la modernità decreta che il tempo e il luogo non gli appartiene come una volta e percepisco di essere nella moltitudine sconosciuta; da quando il danaro assicura l'immortalità sarebbe di vitale importanza non farlo sapere ai miserabili; la politica non solo ha sdoganato la morte per gioco a questi poveri del mondo come atto di liberazione per tutti, di modo che si possa festeggiare l'ignoranza maestra della nostra civiltà democratica; ma pare non voglia nemmeno intromettersi negli affari dei cittadini in difficoltà con questi miserabili: coloro i quali sono compromessi con la politica dicono di no, che non sia vero: così appare ai più, come se la minoranza fosse maggioranza nel gestire le ingiustizie; strana democrazia dicono alcuni: ci vorrebbe la patente, requisito indispensabile diversamente la democrazia si estingue; nell'inciviltà dei propri passi mossi aggrappandosi alla bulimia di se stessa che tutto fagocita risultando insana, iniqua, per chi accetta le regole e ci abita; gli arabi dicono che il mestolo grande affoga il bambino e in una democrazia che funzioni, il sarto si regola con le misure esatte dell'individuo a cui confeziona il vestito richiesto; ma le ragioni forti della povertà sono il cavallo di Troia per le ragioni deboli che approffittandosene sformano il vestito del sarto; qualcuno sentenzia che quando certi politici moriranno non dovrebbero trovarsi male nella condizione nuova ma ideale se identica a quando  vivevano; lontani dalla realtà, senza competizioni, senza discussioni, vestiti di tutto punto; e proseguo sulla via, le donne slave che non mi hanno mai visto, mi osservano di sottecchi reputandomi straniero, a casa mia; è perduta la magia dell'esistenza se non si assapora il pulsare del luogo in cui si vive, così divento ostile a queste due slave; il mussulmano piscia sul muro della Cattedrale, mi dissero fossero ubriachi lui e i suoi amici, non una leggenda metropolitana, verità notturne spicciole che trovano dignità nella bruttezza: incubo per tutti; mi fermo sotto la Cattedrale in ristrutturazione, dalla sua statura le parole la contraddistinguono; le quali non sembrano essere più comprese e per questo sempre necessarie ai timpani; parole straniere e timpani stranieri affermo a me stesso; e l'affermazione si scontra con le donne che vedo gravide per amore o per timore coniugale, nei loro fantasiosi abiti che le ricoprono, come fantasmi colorano la piazza stolida, inamovibile, centro medioevale della mia città; il castello, la piazza i portici: quello lungo e quello del grano laggiù; il prete sul sagrato mi fa considerare che molti di loro sono anziani e vivono deambulando, straniti dalla vecchiezza ma soprattutto dalla città che non riconoscono; ricordo uno di loro che non vedo più, indossava una veste lunga sino ai piedi portava il cappello nero a falda larga manteneva nell''incedere un'antica consuetudine di reverenza; per paradosso mi vien da dire che non gli sia mai venuto in mente di annunciare l'apocalisse di san Giovanni, ma piuttosto abbia ordinato al cameriere un piatto di cappelletti col formaggio e un buon bicchiere di Lambrusco; non era ieratico, nè ascetico eppure la sua figura mi piaceva: l'amavo per la semplicità mortale della sua devozione; esile è la donna da marito, che passa davanti al prete che osservo sul sagrato; nel suo fazzoletto dorato che le ricopre il capo, si muove agilmente nei calzoni gonfi e leggeri dai motivi fantasiosi, con lo zaino sulla schiena che con grazia si fa scivolare tra le mani avanti, si ferma, lo apre, dopo averlo rimestato all'interno come alla ricerca di fiabe orientali da scegliere, tenendolo in mano prosegue passeggiando; nella mia città non succederebbe ma il ragazzo con lo spry vedendola scriverebbe provocatoriamente sul muro - Glock - disegnando un revolver; in realtà il revolver compare sulla T-shirt che indossa una ragazzina con l'amica che passando digita la tastiera sull'I-Phone; la badante seduta sulla panchina non guarda il ragazzo nord africano con cui farà l'amore senza amore: la carne vuole la carne per poter immaginare la bellezza che le nutrirà la mente e non il cuore; il cane nero e bastardo abita qui vicino ed è libero di farsi i fatti suoi noncurante e ciondolando annusa le ruote delle vetture che sono in sosta; compare mi evita con saggezza e con oculatezza mi rivolge il muso superandomi di buona lena ed esperienza, andandosene sotto il portico s'infila tra le gambe delle sedie del bar; attraverso i vetri sporchi molti sono i negozi in affitto che mostrano l'ossatura del loro ambiente svuotato; qualche anziano col cappello chiacchiera con lo sguardo da mediatore sulle vicende che gli vanno raccontando: il mestiere che ha fatto nella vita;  la super gnocca sceglie il palcoscenico delle ore 18 sotto il portico per mostrare a tutti l'indifferenza con cui gestisce il culo e le tette;  ragazzi di una volta scelgono lo stesso orario per mostrare i muscoli scolpiti su espressioni un po' avvizzite ma ancora giovanili; mi fermo e prendo un caffè scecherato non al solito bar ma a quello dallo stile anni 70 che in un lampo mi spedisce in un viaggio nel tempo remoto in cui non ero uomo: l'ultimo film che vidi al cinema Modernissimo sotto il portico s'intitolava - la rosa purpurea del Cairo - la ragazza con cui ci andai era assorbita dalla trama del film e si sentiva toccare nelle intimità mentre le baciavo i seni, il collo; si gira e mi fa "...e fammi vedere il film...dai...ci baciamo dopo...!?..."; il caffè Milano a fianco dove giocavo al primo video game aveva i barman di mezz'età; i piccioni sul sagrato del Duomo sbucavano svolazzando sulle cappotte delle vetture parchegiate in piazza; decollavano a stormi d'estate cercando l'ombra degli antri della facciata del Duomo; d'inverno uscivano dalle nebbie ad ali aperte planando sull'umido del porfido; la città ferveva di modernità che respirava rimanendo salda al passato nella propria identità di luogo; in centro il caffè non c'è più, nemmeno il cinema sotto il portico, altri due cinema di allora nel corso degli anni sono scomparsi, uno proiettava film a luci rosse: il cinema Fanti; l'ultimo a chiudere il Supercinema70 aveva tentato di stare al passo con i tempi offrendo due sale di proiezione; i piccioni davano fastidio e sono scomparsi quasi del tutto da quando li hanno sterilizzati; l'albero enorme che svettava di fianco al Duomo l'hanno tolto; quelli davanti al castello idem; i cedri del Libano che svettavano nel piazzale Re Astolfo, tolti anche quelli; un amico recentemente mi disse che la prima volta che vide cambiare la città fu quando nelle sue campagne un lavoratore piegato a terra per raccogliere i pomodori lo vide essere di colore; non so quando fu per me; graduale forse: me ne accorsi quando vidi sul viale il primo parcometro e le strisce blu; che per associazione di idee, mi rimandano al parco pubblico che tutta la cittadinanza desidera: non i politici; più lontano nel tempo agli orinatoi pubblici che molti anni prima avevavo demolito di fianco al palazzo del comune; a quelli sotterranei del castello sotto la torre degli Spagnoli chiusi da un trentennio; al traffico di veicoli a motore aumentato a dismisura e al consumo della vita libera, di non essere più a dimensione d'uomo, tantomeno a dimensione dei bambini tutti reclusi da qualche parte o seguiti dai body guard dei genitori; non liberi all'aria aperta, non allietano più come un tempo la vita degli adulti stemperandola di paure, rafforzandola nel coraggio e nel futuro: d'estate; e d'inverno la città va in letargo tra pioggie Novembrine, nevi Dicembrine che scendono, nel centro dalla muratura medioevale rivestita dal tempo, per quei pochi uomini e donne che tra le vie, in piazza, sotto i portici, nei bar, ci lavorano o abbiano una commissione da fare; pensando a questo, appoggio il bicchiere vuoto sul banco e me ne vado dal bar e dai ricordi di quegli anni e di quelli  della vita odierna, normalmente acquisita; imbocco la via per poi svoltare lateralmente ai giardini del teatro, cammino lesto sino alla viuzza di santa Maria in castello, raggiungo il parcheggio sul viale. Accendo la vettura.                          

mercoledì 13 agosto 2014

trecentotrentaquattro



 - la finestra notturna -


 La brezza si sparpaglia al nero afoso che c'è; la sera illuminata dalla luna nel suo buco pare ispiri le luci della strada, colorando ombrelli di realtà innaturale; qualche finestra illuminata che non inietta se non a sè luce a sufficienza sottraendosi all'oscurità; l'atrito del vento sulle automobili rare a quest'ora di mezz'estate; odo qualcuno spostare le sedie della cucina dietro il muro, poi più nulla; l'ombra dietro le tende è di una donna che apre il frigo; la traiettoria rapida di un'ombra che vola accostandosi alla mia finestra; la televisione proietta fuori dalla finestra le immagini blu che si succedono; gli attori del film recitano la trama che non seguo; vedo le corolle chiare della nuvolaglia circondare la luna, che le illumina; il balcone assorbito dalla notte asciuga sulla propria ringhiera un copriletto; il rumore di un carter da bicicletta sfrigola svoltando la curva; spegnerò la luce prima di stendermi sul letto per riposare; e con l'orecchio libero dal guanciale sento gli artigli scivolare muovendosi nel cassone della persiana: e sospetto che sia per questa ragione che non ci siano insetti che mi molestano in camera la sera: i pipistrelli li faccio morire di vecchiaia.

martedì 12 agosto 2014

trecentotrentatrè



- il mercato in piazza -


Tra le mani stringo il manubrio, negli occhi un raggio di luce. Del sole seguo l'ombra pedalando sotto le fronde. L'appuntamento col dialetto, cappelli di paglia in testa. L'anima all'aperto profuma di fiori essiccati nell'iride. Dipingo ricordi passati, confusi a prodotti da supermercato e programmi televisivi. Mi vedo riflesso in vetrina: indosso calzoni e camicia bianca. Pedalo sconfiggendo la morte incrinata ai miei desideri. Da lontano vedo i banchi in piazza: il mercato è animato, penso che tutto sia pretesto nella vita. Se vestito dalla festa, attendo che il mio nome sia pronunciato, e la morte certifichi il mio stato di esistenza, per chiamarmi al suo cospetto.

sabato 9 agosto 2014

trecentotrentadue


 - Roma - (***)


A metà scalinata di via Mangianapoli il negozio è aperto, la gente guarda la merce, tocca i foulard esposti, altra che compera, qualcuno che esce; tra i tavolini del bar il cameriere serve una bibita a due clienti andandosene col vassoio tra le mani; marito e moglie si mettono in posa facendosi fotografare sulle scale dalla figlia; da basso dopo la chiesa in angolo, una mendicante intralcia il passaggio stesa come si prostrano i mussulmani in preghiera in direzione della Mecca; tra le mani stringe un bicchiere in plastica con le monete ricevute dall'elemosina; ci aggiungo una moneta passando e nella posa ( che giudico plastica sarcasticamente (( non posso che notare una sorta di evoluzione nel chiedere l'elemosina pentendomene immediatamente )); mio figlio osserva chiedendomi se quella mendicante non soffre il caldo indossando il cappotto d'estate; acquisto una bottiglietta di acqua fredda ad una baracchina abusiva ai Fori Imperiali; l'indiano me la porge a 2 euro, mentre pago gli dico grazie ..." sei a buon mercato..."com'è che ti chiami che ti faccio pubblicità ?..."... Guardandomi attorno per un attimo mi entusiasmo; mi pare di essere sul palcoscenico della storia e che tutto ciò che vedo sia a portata di mano. Leggo un cartello informativo che parla del Vittoriano, di Vittorio Emanuele II, il milite ignoto, l'altare della patria, la dea Roma: mi volto e là vedo il Colosseo. Che mi fa ricordare la vacanza di anni prima: mentre camminavo in direzione della Domus Aurea, mi fermarono i carabinieri per un controllo allo zaino, vi trovarono un coltellino: il carabiniere che mi perquisiva vedendolo esclamò ..." ma guarda qui che c'è"..rilasciandomi senza conseguenze (( probabilmente capì che era un'arma tenuta non con l'intenzione di offendere )) e feci un giro largo evitando i Fori Imperiali, chiusi allora, a causa di una manifestazione anti- iraniana indirizzata al primo ministro Rafsanjani in visita in quei giorni nella città. Mentre oggi viceversa sui Fori Imperiali ci passeggio; mio figlio è interessato ad un'artista di strada che con le bombolette spry in pochi minuti su una tavoletta di legno dipinge il Colosseo. Un capannello di turisti che l'ammira; qualcuno applaude al termine del disegno e se lo compera; un personaggiop vestito di bianco come Pulcinella e con la biacca bianca in viso ti rivolge lo sguardo e la mano per augurarti il benvenuto; tu candidamente, come quella giapponese che con enfasi ingenua sorride si avvicina gliela porge; lui non gliela dà più; e più la turista cerca di divincolarsi da quella stretta e più il personaggio che assomiglia a Pulcinella le stringe la mano; se lei non capisce che gli deve allungare un obolo per riprendersela: sta lì fino a notte; il personaggio lo vedo sedersi asciugandosi la fronte dopo aver liberato dalla morsa la turista giapponese: noto che non assomiglia più a Pulcinella ma ad una prostituta anziana e stracca di tristezza; più avanti alcuni Indiani che indossano i loro abiti color d'arancio dorato e il turbante se ne stanno: uno seduto sul marciapiede impugna verticalmente un palo di legno di un metro; in cima al quale in aria stà seduto l'altro. Che telefona col cellulare. ( Non so se l'ha visto la mia immaginazione oppure l'ho veduto realmente mentre passavo tra la calca della gente ferma ad ammirarli ). Un altro tipo su di uno sgabello indossa una maschera da faraone egizio, una veste attillata ed elastica dorata un bussolotto davanti; quando gli fai l'elemosina si piega in avanti in un ringraziamento; per il resto se ne sta immobile sino al nuovo tintinnio di una moneta nel bussolotto; la carellata di personaggi che supero mi fa dire a bassa voce...( cassà dà fà per magnà )...voltandomi verso mio figlio che stanco mi guarda, glielo ripeto ..."che si deve fare nella vita per mangiare!?... " Ci fermiamo davanti al Colosseo. Tra la marea di gente che si accalca attorno al monumento, i novelli sposi si fanno largo con il fotografo che li segue; la sposa cammina solleva con entrambe la mani l'abito; entrambi gli sposi li vedo salire la scalinata ed uscire; ci guardiamo attorno e rinunciamo a visitare il monumento troppa ressa e la fila di attesa è lunghissima; come primo giorno di visite può bastare. C'indirizziamo verso la metro; pensando che abbiamo a diposizione altri giorni per vedere la città: Roma non sarebbe da visitare d'estate.
                

mercoledì 6 agosto 2014

trecentotrent'uno



- Roma - (**)


Usciti dalla stazione Flaminia dopo un attimo di smarrimento tra le persone che vengono e vanno s'intravede dove ci si possa trovare. La via trafficata, un muro di cinta, l'ultima porzione della cupola che svetta: piazza del popolo: la visiterò fra qualche giorno. Sulla sinistra ci avviamo lungo il budello illuminato del tunnel con le pubblicità nuove alle pareti umide piastrellate, che porta alla stazione della metropolitana. E penso all'underground di Londra anni fa e a quella di Parigi: alle metropoli in generale, che forse si assomigliano nella loro capacità di fermare il tempo; il mendicante senza i piedi accovacciato a terra chiede l'elemosina; ragazzi di colore col banchetto mostrano le loro varietà di occhiali; giovani francesi cantano in coro, alcuni litigano tra loro; il treno della metropolitana che sfreccia e dietro i suoi finestrini facce assorte oppure infastidite, tese se pigiate le une alle altre; correnti di aria calda, immediatamente fredda e l'uscita della metro è vicina; a piazzale di Spagna la donna seduta col bambino tra le braccia segue la musica della fisarmonica che suo marito suona vigorosamente ad alto volume; la gente transita infastidita, chi si copre le orecchie; all'aria aperta sul vicolo, il bar all'uscita, un paio di calessi parcheggiati, la turista che fotografa il cavallo; mio figlio nota che sotto il calesse c'è la paletta e il secchio..." a cosa servono ?..."...  raccogliere la merda... son chili, mica a palline come la fanno le pecore..."mio figlio ride: la domanda era un trabocchetto, per stanchezza ci sono volutamente cascato; al centro della piazza hanno transennato: lavori in corso. Trinità de Monti una moltitudine di persone sedute sulla scalinata: mio figlio che guarda e chiede "...che fanno ?...". Cammino estasiato sulle strade romane, la tipa mi spruzza un nuovo profumo di non so chi sul braccio; mentre mio figlio guarda per terra gli dico che quando si è a Roma si guarda in alto, quando si è a casa si può guardare a terra; lui mi chiede se non ho mai giocato a Black Ops o a Call of Duty: faccio finta di non avere sentito e non gli rispondo; poi mi chiede se non ho mai usato l'Ak 47 e che le prime volte che giocava a videogame lo uccidevano subito, adesso è migliorato; ci giocherò con lui ? Dopo il venditore di frutta, finta tanto è lucida: la fontana di Trevi: lavori in corso, l'ossatura dei tubi del ponteggio, l'operaio che avvita alcuni bulloni sull'impalcatura si concentra sui visitatori sotto che hanno aperto l'ombrello: sta piovendo; la vasca vuota i visitatori che si accalcano, tra i venditori di oggetti e personaggi che riempiono la piazza un uomo nell'angolo, vestito da morte in piedi su uno sgabello con un bussolotto davanti chiama i visitatori; mi chiedo per fare cosa mentre me lo chiedo mi chiama chiedendomi di avvicinarmi: mi allontano; lo vedrò seduto, come sconsolato, o amareggiato, con la maschera ai piedi qualche giorno dopo, mentre la sua ragazza gli abbraccerà affetuosamente la testa; un centurione con la pancia cammina serio con la testa dentro l'elmo che traballa; fuma svogliato e innervosito dalla calca umana, si guarda attorno e fa qualche passo in avanti per evitare alcuni turisti; il Quirinale è poco distante, la sua nuda scalinata, la doppia curva in discesa, la prospettiva dello spazio crea un soggetto metafisico irresistibile per la mia macchina fotografica, click. Al termine della scalinata alcune finestre del palazzo Quirinale sono aperte a piano terra si affacciano sulla piazza; dalle finestre il discutere in romanesco di cuochi e camerieri eleganti li vedo ridere di risate che raggiungono i due gabbiani alle mie spalle, poco distanti da me; abitudinari sulla piazza vuota presidiano e aspettano il momento buono per mangiare ? se ti avvicini ti scansano tranquilli allontanandosi senza affanno, come a dire ...ma che vvuoi ? ...ma vai a rompere i coglioni da un'altra parte !...oltrepassiamo camminando scendiamo la strada indirizzandoci verso il vicolo Mangianapoli.                 

martedì 5 agosto 2014

trecentotrenta

 - Roma -   (*)

 La bigliettaia della navetta è dell'est europa con l'accento romano, se ringrazi la vedi turbarsi in quel grazie, avvertito come richiamo sessuale esplicito; non guardandoti si culla mentalmente in qualcosa, che la cattura addolcendola di piacere come quando fa l'amore; e mentre lo pensa tu ti avvii con i pensieri al limite del suo rozzo ambiente: che non conosce cortesie ma prevaricazioni. L'autista è tramortito dalla fatica mentale che il lavoro gli procura; è siciliano parla romanesco e le battute di spirito che gli sento proferire sono caustiche; assorbite in un lampo dietro gli occhi accecati dal fumo di sigaretta che aspira; Dalla navetta vedo scorrerre il paesaggio caotico e misero di un tratto della via Tiburtina; cassette da mercato improvvisano la vendita della frutta sotto il ponte; due concessionarie di automobili in curva; un bar improbabile in quell'angolo dove le vetture sono parcheggiate; la scritta con lo spry dietro la fontana - si al fascismo - uno svincolo con due indicazioni di luoghi che non leggo; un'agenzia di pompe funebri e gli addetti fuori dalla vetrina del negozio che discutono fumando, l'insegna della trattoria al Faraone. Dietro la curva Prima Porta. La stazione ferroviaria da cui si raggiunge la stazione della metropolitana Flaminia ( piazza del popolo ). Sul muro coperto da erbacce la scritta - la fatalità toglie dignità - . La stazione dà l'impressione di essere dismessa e normalmente frequentata da molte utenze che la usano sporca vivendola come fosse abbandonata; sulle banchine di fianco le rotaie ci sono dei lavori in corso fermi da poco tempo, in un mix orror vacui architettonico sommato al dismesso, all' incuria in cui versa la stazione che disorienta i turisti non solo i più sensibili ( mi viene da dire che l'umore non felice del bigliettaio è un segnale: tutti i giorni deve lavorare nel degrado ) producendo un senso di minaccia e disagio irragionevole dove il fulcro è ragionevole nell'equilibrio e nell'armonia che ogni persona umana sente di avere acquisita sin dalla nascita, e che non riscontra in ciò che vede all'esterno di sè, riscontrando piuttosto la bruttezza con cui sprofonda nell'indifferenza il mondo ( in questo caso ) dei quartieri di periferia abituando al malumore alla prevaricazione alla violenza alla sciatteria alla bruttezza l'utenza ordinaria. Alcuni ragazzi di colore in stazione ferroviaria scavalcando il torello ( usando l'uscita come entrata ) altri sprezzanti scavalcano il torello direttamente davanti la biglietteria irridendo il bigliettario, dietro il vetro che stacca i biglietti della corsa agli utenti in fila; i quali vedono i ragazzi impegnati nel salto del torello; alcuni tacciono qualcun'altro bofonchia alla moglie o agli amici: che glielo farebbe pagare lui il biglietto a 'sti teste di cazzo "... quattro stangate sul filone della schiena a'sti negri di merda un po' di olio di ricino e via...che tornano a casa loro...che a esser troppo buoni fanno i comodi a casa degli altri... ".  Sorrido a quell'arroganza a cui ho assistito non pensando oltre a ciò che ho visto; riflettendo che la bellezza di Roma chiusa nel suo eterno passato non mi deluderà: è il presente di Roma che mi delude e mi sconcerta; ostile, appena si esce dalla sua grandezza monumentale ( e svaccatezza umana ) (( nel senso che vi è una sorta di serenità nelle autorità che deborda simpaticamente e maledettamente in svaccatezza )) Seduto in treno guardo superare le stazioni che si susseguono, la Celsa, Labaro, Centro Rai, Saxa Rubra, Acqua Cetosa, Grottarossa, Tor di Quinto, Due Ponti, Monte Antenne, Campi Sportivi, Euclide. Il paesaggio pare migliorare; leggo da qualche parte - ti sposo - di un'innamorato metropolitano. Scendiamo a Flaminia per prendere la metropolitana.