lunedì 31 marzo 2014

duecentottantotto

-   Von Oliver Buitre  -

Lo conosco fin da ragazzo col sorriso, spensierato, e il desiderio della risata sempre sulle labbra. Lo vedo raramente, ma quando ci incontriamo è rimasto tale ai ricordi. E m'ispira simpatia in quel sorriso e nel desiderio di una risata sempre disponibile che non è semplicemente l'idea di un ricordo personale e irreale. Tutt'altro. Col sorriso riempie l'imbarazzo dello spazio, se mai facesse capolino da qualche frattura iniziale, e avvicina la distanza nell'incontro mantenendo i convenevoli nella grazia d'una maestria affidabile per inclinazione come a combinare affari economici, o affari nascostamente sentimentali; è così da sempre, da ragazzo aveva lo sdegno velato in volto per una condizione di miseria che notava attorno a sè; nel percepire esistente, sebbene non fosse mai nè superbo, nè altero, di fronte a questa miseria,  risultandogli concettualmente remota come quando per vocazione non devi averci a che fare; ma da accettare esistente e possibile per l'umanità. Escluso lui. Che di fronte a quella miseria materiale si ritraeva schermito. A partire dal proprio volto, dove la fortuna aveva posato le sue grazie, scacciando ogni miseria materiale, e il portamento che mostrava nobile non eccedeva per non risultare snob e indispettire, zittendo chiunque con la sua agiatezza che non aveva ma che avrebbe raggiunto convinto che la fortuna che normalmente è cieca, egli le avrebbe slegato la benda sugli occhi e l'avrebbe accompagnata con sè facendoci l'amore; come avvenne nella realtà; la stessa realtà che gli fa intuire la distanza abissale tra noi e nonostante ciò non commette mai l'errore di sottovalutare l'amico di un tempo, accettandone la diversità. Una cosa puoi notare parlandogli: presumi si protegga dai superficiali sentimenti umani amando i cani; e la morte non è contemplata nel suo perimetro mentale. Quando compare diventa serio, e la guarda negli occhi, tentando di capire se per un uomo agiato quale egli è, sia comprensibile nella morte non percepire più nulla di ciò che si è ottenuto dalla vita, e se sia così impossibile che la vita ovunque così densa, non abbia creato uno spiraglio nella tenebra per realizzare ciò che egli desidera di più. Portare il suo mondo materiale nell'aldilà per garantirsi un tenore di morte elegante: gli occhiali da sole, il giubbotto primaverile col collo di pelliccia, passeggiando in bicicletta trainato dal cane effervescente che corre avanti con la lingua penzoloni; egli sorridendo ti saluta e spensierato avrebbe l'immancabile desiderio di ridere anche nel regno delle anime.                   



domenica 30 marzo 2014

duecentottantasette


- il capitalista -

L'ispettore Caprarella si lamenta discorrendo con l'agente Ides <<...l'assistente capo, è mussulmano e guai a metterlo in turno il venerdi che c'ha la preghiera e deve andare in Moschea, col minareto che ne so, e il Corano e i fratelli muslim come li chiama lui, figurati che si tolgono le scarpe e stanno tutti scalzi a pregare; che c'è 'nà puzza di piedi della madonna e compagnia bella ...e quell'altro è ebreo ...e di metterlo in turno il sabato apriti cielo, non se ne parla proprio, che quello c'ha la Torah, e vien giù di nuovo Mosè che se lavori al sabato, le tavole di pietra te le tira nelle balle altrochè... e lo Shalom Shabbat che augura a tutti Shalom, Shalom, e Shalom...e comunque di lavorare nisba...col cazzo che alza qualcosa...e che vuoi dire ? ...quello lì...di sabato non si regge nemmeno l'uccello per pisciare...va bè...e poi ci sei tu; che sei cattolico e c'hai la domenica che devi santificare che c'è il Signore...signore degli anelli va bè non mi guardare così... mica voglio offendere...comunque il Signore la trinità e queste storie qua... che di domenica...bisogna andare in Chiesa...insomma deve essere santificato...e nemmeno tu lavori e poi ci sono io. U stronzo ? ù scemo ? e sissiggnore che invece:  lavora sempre mai un'assenza lo stakanovista...che lavora senza soste...e perchè ? perchè sono un ateo capitalista ? e di religioni non me ne fotte una minchia ?...sissiggnore lor signori...! ...eccomi qua ù fesso della situazione !...>> L'agente Ides nel guidare e sentendosi sull'orecchio lo sguardo ferino dell'ispettore Caprarella tacque. Comprendendo il momento emotivo delicato da dover affrontare e gestire proferendo: nulla. L'ispettore Caprarella sbottò guardando di nuovo la strada, ripetendo in una sorta di litania vocale e gestuale al mondo di una platea inesistente <<...che sò il più scemo del villaggio ? ...eh? >> L'agente Ides a quel punto sentì il dovere d'intervenire dando una risposta all'ispettore: sommessamente disse <<...noi è un po' che lo diciamo...! >>. L'ispettore a quelle parole che gli davano ragione si calmò. E riassestandosi sul sedile si liberò del soprabito incagliato e rispose <<...e meno male che qualcuno finalmente mi dà ragione eccheccazzo...>> . Rimanendo in silenzio con la sua platea invisibile che certamente annuiva per quella meritata ragione ricevuta dell'agente Ides; Caprarella guardò fuori dal finestrino riflettendo e volgendosi verso l'agente Ides chiese <<...scusa...ma noi è un po' che lo diciamo...diciamo cosa ?...>>.           

duecentottantasei


- una questione imbarazzante -


...<< amore ...da quando hai smesso di fumare e facciamo l'amore...ce l'hai duro come il cemento...è stupendo...ho degli orgasmi plurimi ...lo sai?...>> Ides si voltò verso la moglie che trasognata lo guardava le rispose  <<...guarda amore...che io non ho mai fumato...!...>>...

duecentottantacinque


- l'appuntamento -


La vettura si parcheggiò si spense. L'agente Ides aprì la portiera uscì. L'ispettore lo attese, fermo. L'agente si indirizzò verso il baule dell'automobile, lo sollevò, lo richiuse. L'ispettore era concentrato davanti a sè. Una donna usciva dal bar. L'agente si allontanò dalla vetturta attraversò la strada. Entrò nel negozio dalla vetrata appannata. L'ispettore vedeva l'agente Ides parlottare con una figura nel negozio, pareva una donna. Le due teste una di fronte all'altra sfumate dal vapore acqueo condensato sul vetro non si delineavano chiaramente. L'ispettore Caprarella distolse lo sguardo, guardò di nuovo avanti. Mentre l'agente Ides uscì. Attraversò la strada; aprì la portiera salì al posto di guida. L'ispettore lo guardò disse <<...tutto bene ?...>>... << si >>...<< quando ti ha detto? >>...<<domani mattina alle 9 e 30 >>...<< 9,30 ? >>...<< si, 9, e 30 >>...sicuro ? non è che veniamo alle 9, e 30 e poi i pantaloni non sono pronti perchè sono ancora da stirare ?...eh...!...>>...<<...che ne so se sono pronti o no mica c'ho la palla del veggente...se non sono pronti ce ne andiamo a fare colazione ...no!?...>>.   

duecentottantaquattro


- il caso del pesce senza pensieri -

L'ispettore Caprarella si infilò sotto le coperte; si girò, e spense l'abat-jour. Accendendo il buio pesto nella camera. Rimanendo ad occhi apereti, con la coperta tirata sino al collo, e con lo sguardo verso il buio del soffitto. Steso immobile, non dormiva. E nemmeno sua moglie, la quale al suo fianco ad occhi aperti guardava lo stesso buio verso il soffitto. Silente. Di tanto in tanto ascoltando nello strusciare delle lenzuola, a che punto fossero le manovre di avvicinamento delle mani di suo marito. Che rimaneva immobile lasciandola sconcertata e titubante e più i minuti trascorrevano e più l'idea di fare l'amore scemava. Elegantementre a quel punto la donna si volse in direzione del marito e disse << ...scusa amore...perchè non mi hai avvertito che nell'ultimo corso di aggiornamento da ispettore, hai preso anche i voti da prete ? >>. 

sabato 29 marzo 2014

duecentottantatrè

 - Zoso -

Percorrendo la campagna con sollecitudine tranquilla; nelle ruote e nella testa; percorrendola sulla via dove le ossa dell'asfalto affiorano tra le crepe e le depressioni in tutta la magrezza nera serpeggiante; di questa linea chilometrica, nella vastità del verde e delle colture che vivranno il loro ciclo; e l'imbastitura nel cumulo di legni e ferro: cianfrusaglie riposte lì; e di fienili da sgomberare laggiù motori da azionare nel profumo intenso di teli, oli muffe e ruggini nel fresco dei ciuffi d'erba; percorro la campagna che nei muri delle umide pietre mi risuona agli occhi, architettonicamente con uno slancio all'insù; d'una torre in quell'antico borgo con la sua bifora oscura cruna in cima; vista in contro luce col sole abbacinante è nervoso come il suono dell'incudine battuto dal martello; e la campagna mi scivola nelle ruote e nella testa percorrendola con sollecitudine tranquilla, tengo fermo il volante; vedo la chiusa d'un canale simile ad un timone; modulo con la danza il corpo sul sedile distrattamente supero il ponte rugginoso e costeggio il rivolo del fossato; che non è più ghiacciato libero di esprimersi sotto i raggi e le ombre che la luce gli disegna; e passo sulle ruote che rotolano percorrendo la via e sto nella cabina dell'auto a braccia stese; pensando ai fatti miei che son disfatti e; precipito anche se non vorrei, ma dopo un po' mi ritrovo nel logorio dell'innesprimibile rancore ripetendomi: ci siamo. Sostenendo a qualcuno lassù: di aver resistito ed essermi impregnato di volontà benefiche ma è inutile se intuisco il tracollo prossimo: cedendo. Alle malelingue assopite sempre meno, risvegliatisi sotto l'egida dello spirito millenario che in me si millesima in gocce di curaro: occultandosi; alla mia coscienza senza specchio da consultare: non vedo. Così inconsapevole della circostanza e arreso a questa metamorfosi che traspare solo dai lineamenti che mi rivesto in volto, mi ritrovo ad affrontare coloro i quali con mia sincera e naturale predisposizione detesto. Malgrado le mie buone intenzioni. Rischiando nel combattimento una voragine di sfiducia: e da rivedermi su ogni malefico passo. Ma per ora; sono sicuro ed imperterrito e il mio spirito delinea in ordine sagace ogni nemico. Da cui non soccombere affrontando in mestizia e rinuncia calcolata nel mettere a fuoco le loro carni rosolandole. Di ciascuno, in modo da allietarmi al momento giusto degustando il pranzo o cena che sia, come si conviene. Cibo offerto dal cadavere del nemico: in questo programma che nella mia testa scorre; e con sollecitudine non più tranquilla viaggio sulla strada di campagna osservando fuori dal finestrino dell'auto e mi vedo. Seduto ad una tavola imbandita con ogni ben di Satana. Dove la carne rosolata del mio nemico è alla brace e mi viene servita in livrea aristocraticamente su vassoi d'argento, ma preferisco quella  allo spiedo e non mi sfugge lo stufato di somaro, con la coscia della gamba: prelibatezze per il mio palato. E discetto tra me e me sgranocchiando l'osso di chissà chi; percorrendo la strada tenendo fermo il volante tra le mani supero borghi, cittadine, campanili, chiese, colture, abbaini, cianfrusaglie, uccelli in volo, anatre nello spostamneto tra i canneti d'orati, tralicci con nidi di cicogne alla sommità, pioppi non sempre arzilli, querce da rianimare per la primavera, la limpidezza dello scorrere d'acqua anonima nel fosso: ad un certo punto uscendo come da pensieri tenebrosi. Tutto pare sia svanito come ad esser stato preda di un fuoco istantaneo e irrazionale ora svanito; arso e stropicciato mi riprendo un po' di serenità e dico muovendomi nelle labbra << ...mi armo di preghiere e... mi faccio prestare gli occhi duri di chi... la dura ...la vince >>.          

giovedì 27 marzo 2014

duecentottantadue


 - montain bike -

 ...il soffio del vento in volto, che non sottostà a nessun limite di velocità; l'albero nel soggiorno della casa sventrata svetta uscendo dai coppi; il riflesso in una pozzanghera è dell'airone che prende il volo; il paese operoso laggiù e quello deceduto nel perimetro del camposanto; il contadino lega la vite, e come un rapper si solleva il cappuccio sulla testa guardandomi passare; davanti a me due corvidi spiccano il volo sollevandosi senza pensar cos'è l'amore; dune di sabbia sulla riva del fiume ascoltano le ruote nella melma e lo scoppiettio accelerato del motore; che traina la botte da dove fuoriesce il genio della lampada nella venefica nebbia incipriando le viti; gli insetti misurano la freschezza dei venti cullandosi nelle correnti non pensando al futuro non temendolo; i colori che s'intensificano accendendosi sul panorama se s'affaccia il sole; l'anima forata della pieve svetta laggiù tra la foschia; la vastità del tempo riempito dal suono della campana resuscita l'antichità; guardo lontano sul sentiero percorrendolo, poi sulla mano che impugna la manopola: un insetto è planato sul dito; e lo scaccio in una rapida mossa pedalando sullo sterrato, pensando: se non ci sono indicazioni per tornare verso casa: seguo il canto degli uccelli sugli alberi e sulla strada asfaltata, quello cacofonico dei motori a scoppio...   
  

domenica 16 marzo 2014

duecentottant'uno

- memento -


Nel recto della cartolina vi è il castello di Methoni, ripreso dalla spiaggia, a pochi metri dentro il mare. Il castello è diroccato nelle due torri centrali dell'entrata; le mura sono solide e intatte. Sul bordo della cartolina a sinistra, c'è il camminamento arcuato e sopraelevato di pochi metri in pietra che, dalla spiaggia raggiunge il castello. La giornata è serena senza nubi. Minuscolo sulla destra della cartolina, vi è in mare, un pescatore anziano sulla propria barca da pesca.  

sul verso: Finikounda ( Grecia )  18/ 8/ 1992

Abbiamo visitato Pilos, Methoni, Koroni, e dopo quattro giorni campeggiati qui a Finikounda siamo partiti per Sparta. Durante lo spostamento in auto ci siamo elencati i luoghi visitati e che ci avevano colpito di più. Siamo arrivati ad un accordo nello stabilire che il Peleponneso o come lo nominiamo musicalmente in lingua Greca - Peloponissos - da questa parte è meraviglioso; e la baia di Finikounda esercita certamente molta suggestione. Soprattutto al tramonto; ma dovrebbe essere meno affollata: cerco di spiegare che non sono riuscito a fare il bagno, e la baracchina sulla spiaggia rende il luogo da meraviglioso a inautentico. Lei mi chiede " ...inautentico rispetto a cosa... " dalla domanda capisco il grado di bellicosità e siccome di fronte a noi abbiamo parecchi chilometri prima di raggiungere Sparta: faccio una semplice operazione aritmetica due per due: quattro; quattro per due: otto; e glissando le dico"...mi sono espresso male cioè...volevo dire che il posto è meraviglioso...non c'è che dire...ma i sandwich della baracchina fanno veramente schifo...".       

sabato 15 marzo 2014

duecentottanta

- memento -
 
 traghetto - Igoumenitsa ( Grecia ) direzione Iraklion ( isola di Creta )  Luglio 1994

Qui non c'è il sole accecante. Guardo il viso dopo essermelo sciaquato, la porta del bagno dietro di me è aperta, impugno la maniglia per chiuderla. Dall'altro traghetto attraccato in porto alcune ragazze alla balaustra del ponte ridono tra loro, mi osservano, ci salutiamo. Bacio le dita della mano, glielo invio. Loro uguale. Continuiamo a guardarci. Ridiamo di noi, del caldo, del mare, della vacanza, del futuro in qualche isola, dei bagni, le notti sulla spiaggia, degli amori. Lentamente, il traghetto slegato dagli ormeggi lascia il porto. Mi affretto ad inviarne ironicamente altri, sappiamo che sono gli ultimi.       

venerdì 14 marzo 2014

duecentosettantanove

- memento -

Nel recto della cartolina nera col bordo bianco vi è il busto di profilo della statua in marmo di Apollo; che guarda in lontananza indicando col  braccio teso e monco, un punto fuori dalla fotografia che non vediamo. Apollo ha un panno che gli copre la spalla; scende dietro il fondo schiena raggiungendo l'altro braccio steso lungo il corpo, a cui è avvolto. L'ombelico pare un occhio e gli addominali sono piatti di chi è giovane.

sul verso:   Vathi ( Grecia )  16 / 8 / 1992

In cima ad una collina con la vista sul mare c'è Vathi; dove che secondo gli antichi vi erano le porte dell'Ade. E' un piccolo borgo di case su un cucuzzolo silente; case in pietra raggruppate in vetta; alcune diroccate in decadimento e altre ristrutturate, ma che nonostante la differenza architettonica riescono a convivere in maniera armoniosa. Un dedalo di viuzze strette e assolate tra le case; e pietre franate che un tempo erano il muro di qualche abitazione, gli interni di una casa sventrata laggiù nel dirupo, qualche albero di fichi d'india sul pendio; altri minuscoli, che in lontananza si perdono tra le colline; e dal borgo, se si scende per il pendio camminando su un sentiero si incontra un albero di melograno. Qualcuno su un cartone a vernice ha scritto in inglese - not collect the pomegranate - proibendo di raccogliere il frutto. Davanti a noi; l'immenso della vastità del mare che si confonde con il cielo. Le montagne brulle che delimitano lo spazio alle nostre spalle; fanno perdere la cognizione del tempo e della distanza. La giornata è tersa.      
   

mercoledì 12 marzo 2014

duecentosettant'otto

- memento -

il recto della cartolina raffigura in una statuetta in bronzo un satiro col pene eretto nella tipica mossa Arlecchinesca d'auto-rappresentarsi con dileggio; proveniente dalla collezione Carapanos del quarto V sec. a. C. del Museo Archeologico Nazionale Ellenico.

sul verso:         Peloponneso ( Grecia )   14 / 8 / 1992

 Girovagando in automobile alla ricerca di un camping, vicino alla città di Ghition sbuchiamo su una minuscola baia meravigliosamente nascosta agli occhi della moltitudine. Poche case immerse ad uliveti; un vento persistente che rende magica ogni cosa stendendo un velo di malinconia simile ad un'atavica nostalgia; per un qualcosa che non conosci e non potrai conoscerere a fondo. Dios caffes ena sin gala; e siamo qui seduti ad un bar dove nessuno parla inglese; sotto l'ombreggiatura di alcuni ombrelloni a pochi metri  dalla riva; col mare tinto di blù intenso sollevarsi persistetemente al vento che lo increspa: Lei indossa un vestitino rosa e leggero il quale anch'esso sotto la spinta del vento si solleva; mostrando le gambe abbronzate. Stiamo conversando e ci diciamo guardandoci con gli occhi illuminati; che ci dovremmo sbrigare a cercare il campeggio prima che cali il tramonto. Non glielo dico, appena siamo in tenda la bacio.      
 


duecentosettantasette

- memento -

Nel recto della cartolina vi è un tempio dell'antica Grecia fotografato da quattro angolazioni diverse; i colori esterni al tempio sono  innaturalmente vividi, dando l'impressione d'un insieme ritoccato. Sotto il francobollo c'è scritto - Temple of Epicarius Apollo -

sul verso: tra Finikounda e Methoni ( Grecia ) 12/ 8/ 1992

Da ieri siamo in un camping tra Finikounda e Methoni. Trascorriamo molto tempo in spiaggia stesi sulla sabbia come ramarri. Solo oggi nel pomeriggio abbiamo visitato la fortezza di Methoni che nella sua desolazione è  splendida: sul mare, come molte altre che ci è capitato di vedere, questa ha di particolare che è immmensa. All'interno vi sono numerosi ruderi di un villaggio. Camminando tra le viuzze, pare non ci siano testimonianze artistiche. Vi è una chiesa che ha tutta l'aria di essere stata ristrutturata di recente; vi sono molti antri, cunicoli, angoli remoti, pieni di erbacce e uscendo ci si può avviare al ponte in pietra che dalla fortezza si dirige verso una torre di avvistamento distante dalla costa qualche centinaio di metri, in mezzo al mare. Raggiunta l'abbiamo ammirata con stupore e fascinazione. Un caffè e una coca-cola al ritorno. Ci fermiamo in un negozio di alimentari polveroso; la spesa per la cena e per la colazione. Abbiamo mangiato in tenda con un melone e due carote. Non dormiamo appesantiti con una dieta mediterranea.         

lunedì 10 marzo 2014

duecentosettantasei

Che 
vuoi che me ne 
importi della faccia: l'ho
persa mille volte e mille volte
 l'ho ritrovata. Che vuoi che me
 ne importi dell'anima: talmente
scura da non poterci controllare 
neanche l'olio. Che vuoi che me ne 
importi dell'amore che non ho, se per 
talento ciò che non mi appartiene non lo 
desidero; e non m'importa nemmeno della morte; 
da quando ho intuito; che per chi vive definirla è 
un attimo; sebbene quell'attimo non gli appartenga
ma sia di chi muore e non vedrà.
Ma che vuoi che m'importi di queste
                                                  congetture dal sapore di facezie; e poi
non ho altro da confessare.
Piuttosto:
  qui le riviste non mi piacciono 
queste agiografie mi danni i nervi, 
e le confessioni di Sant'Agostino, e i
martiri, e i luoghi santi eccetera: senti me.
Mettiti un mazzo di carte in tasca, tenendo
stretta una bottiglia di buon vino nel cartoccio, e due
bicchieri nell'altra di tasca; e se ce la fai una donnetta 
allegra  e spensierata; che quando prima o poi arrivi 
ci facciamo una partita a carte sorseggiando vino e ci 
divertiamo prima della fine. Qui all'inferno c'è un sacco 
di gente col biglietto numerato come in farmacia e attende 
il proprio turno: pare che per il Giorno del Giudizio ci voglia 
tempo: Dio fa le cose con calma; e noi 
dovremo pur ammazzare il tempo, no!? 
                 

domenica 9 marzo 2014

duecentosettantacinque

- il professor Hermann Dimitris -


Sarebbe stato assai improbabile scorgere il professor Hermann Dimitris d'estate passeggiare sotto la canicola diurna, con dei calzoni corti o dei sandali salesiani e ciascun sandalo munito di rosa coprente l'alluce. Fiore rosso o scarlatto o vermiglio o rubro chissà. Quali di queste tinte avrebbe scelto se avesse dovuto scegliere; forse lo scarlatto anche se propendo al rubro. Come il colore della vena che lievemente sottocutanea gli scorreva sulla fronte nel suo svelto incedere. Candido furetto, magro, nervoso, e pieno di congetture; come di chi ha in mente un'opera e il suo completamento: in quel suo incedere si riflettè in un'ombra sul porfido osservando, e non vedendo. Avanzare i propri passi. E in quel venire. Lo vidi da lontano sul limite della piazza; dove i piccoli cubi di pietra si trasformano in blocchi più grandi e il dislivello è zoccolo e confine; riprincipiando e ridivenendo selciato posato a semicerchi arcuati, orientando lo sguardo in onde geometriche che si allargano; su quel porfido il professor Hermann Dimitris avanzava nel suo svelto andare stringendo i manici della cartella in pelle scura; sobrio e folle, di luce tesa condita pacatamente nello sguardo, che l'animo traduce, si folle. Ma quieto di sobrietà, per i misteri filosofici dell'esistenza interiore. In fin dei conti era un professore; in giacca scura e calzoni in tinta. Che nel cercare la frescura in quelle torride estati notturne lo avresti scorto in piedi. In piazza. Declamare alcuni versi. Di un suo poema agli astanti; in tono aulico, e gestuale tra i tavolini e le seggiole, dando le spalle al castello e poi. Seduto. Dinnanzi al bar all'ora di chiusura. Col tavolino al centro, fisso come un perno o come un basso altare; e tutti attorno seduti a gambe accavallate, ospiti della piazza viva e numerosa di anime nottambule. Il professor Hermann Dimitris tra le luci e le penombre di quelle sere stava in piedi. Davanti al magistrato, all'imprenditore, allo studente, allo sfaccendato, al disadattato, al sindaco, all'assessore, all'aristocratico, allo snob, al parvenù, al metalmeccanico in mutua, all'ubriaco con stile, al biscattiere, al rivoluzionario Trozkista, all'emigrato tornato ricco, al tatuato col percing al naso, alla femminista liberale, al camerata occulto, all'anziana colta di famiglia aristocratica, all'umile religiosa con lo spirito pantocrate sulle labbra che tacciono, sino al cameriere a fine serata lavorativa, e il prete dalla buona forchetta che accaldato dalla lenta digestione ultimo, sedendosi bofonchia affaticato portando la mano sulla bocca, tentando di zittire le propria budella: il quale si aggiunge a tutto il pubblico sorridente: seduti fermi e ipnotizzati nell'udire quel declamare di versi; lo odono zittirsi piano e riprendere. Con lo spirito vorace di chi è sul crinale d'un beffardo mondo. Il professor Hermann Dimitris stava ieratico gesticolando sprofondando nel volto di chi tutto elabora in purezza. E una volta lo udii anch'io. Una di quelle sere passai e lo sentii declamare versi che dicevano <<... miei concittadini cari...quanto dista la luna...? Io vi parlo e mi zittisco...e poi vi parlo e voi mi dileggiate...sono comico sollazzo e probabilmente pazzo...per le vostre renose menti...miei concittadini quanto dista per voi la luna ? E per i vostri cari quanto dista il sole ? Similmente più avranno a che far con voi e sempre più vi saran distanti ...esattamente come il sole e la luna...>>..!..<<...per non parlare del buco nero...>>. E un uditore tra tutte quelle persone, a quelle parole enunciate in tono criptico; chiese <<...che buco nero professore !?...>> Il professore Hermann Dimitris girò il collo, sul cui collo ingessava il proprio cranio, e in una smorfia altera e col mento all'insù guardando l'uomo che gli aveva posto la domanda; lieve scattò levando il braccio in direzione degli astri che aveva nominato e da tetrante e condottiero all'assalto in tutta calma rispose <<... voi mi chiedete che buco nero sia...? ...>> fermandosi in una pausa; nel silenzio dell'attesa di tutti gli spettatori con lui: e lentamente come a essere su un palcoscenico dell'antica Grecia declamò <<...il buco nero è...il buco del vostro culo...>>.                 

giovedì 6 marzo 2014

duecentosettantaquattro

- Corinne -

Corinne non è precocemente donna, ma lo sarà: di lì a poco. E allora guarda con curiosità e voluttà non conoscendo a pieno lo strepitio dei sensi; che le traspaiono dai movimenti classici governandola: quanto innumerevoli essi siano mostrando, la loro violenza nelle recondite intimità che non vedi; ataviche, sincere, che regolano la vita contraria alla morte; e ti vede Corinne guardando. E osserva scegliendoti come amante e toccandoti idealmente, dicendoti con gli occhi puliti di notizie forestiere <<...boun jour monsieur...je m'appèlle Corinne...>> annegando in un'idea felice che le traspare racimolata sul volto dai propri passi; e si ferma a quelle parole concedendo debordanti e definiti i propri occhi; all'uomo su cui vi sarebbe la rivincita degl'immaturi seni che Corinne, con pudore mostra avendoli per far l'amore non ancora, e conservati coperti dalla camicia da educanda; come Corinne non voglia, desiderando le intemperie idealizzate del mondo maschile su di sè; Corinne è sofisticata e nel concedersi i desideri: li nasconde. Dietro gli occhi, mantenendoli nel calore delle intimità; in una carezza che sia d'attrazione, di conseguenza amore, attraverso lo sguardo che raccogli in testa col lezzo di profumo che Corinne ti invia amandoti: e tu lo comprendi immediatamente e la cerchi; sfiorandole col pensiero i vestiti che va indossando; e col pensiero le annusi il ventre guardandole il fondo schiena nel salir le scale mentre volgendosi col sorriso acuto da signorina ti guarda e dice <<...a tout a l'heure...>>.    

martedì 4 marzo 2014

duecentosettantatre

 - ancora notte -

Ancora notte e il chiarore è all'orizzonte; con i tagli violacei inferti al nero; e le case geometricamente nere sullo sfondo; che si stagliano davanti a quelle striature nel loro digradare aumentando; mentre ai piedi neri della terra, fuma il pizzo grigio ondulando; di brume calde, sorreggendo lieve il trapasso della notte al chiarore; in un tripudio di decadenza e principio; radioso agli occhi scarmigliati ancora; dall'odore di caffè e dal recente sonno. Che si fa ricordare assotigliandosi; e vivendosi in quel sogno di realtà e immaginazione.  

duecentosettantadue

- l'alfabeto rovesciato -

...le persone con nulla da dire, sono spesso imbarazzate dal significato che possono emanare le cose del mondo; le quali, nel loro significato riescono a ridurre la vita umana a ciò che autenticamente è: relativizzandola; e al contempo impreziosendola nei doveri: ma squalificandola a non essere raccolta da costoro; così generalmente concentrati su di sè, nell'onanismo idolatrico; bagnandosi tutti i giorni di santità col superfluo, di converso bagnando di santità il loro universo; propagandolo e rendendo filosoficamente auspicabile la pusillanimità, l'ignavia, l'idiozia, l'imbecillità geniale, la scaltrezza, l'inganno, intesi come virtù teologali...   

duecentosettant'uno

- Costei -


Costei mi vede; un attimo prima che il mio sguardo la intercetti, attento come sono a selezionare la merce sugli scaffali con gli occhi mobili: la intravedo distinguendola nella figura che mi pare di conoscere da lontano: e la metto a fuoco. Nella sua blusa nera che si staglia sotto la luce dei fari della frutta e della verdura, tra quelle due bilance; Costei è quella che penso che sia: con quell'acconciatura nera, la gonna nera, le calze velate scure, per finire agli stivaletti della Dr Marteens rigorosamente neri anche quelli. Costei si chiama...è,...è,...è...non mi ricordo il nome; nonostante ci si veda da quando eravamo ragazzi. Costei è uguale ad allora nella fisionomia, come ora la vedo al supermarket. Mentre sto cercando tra gli scaffali quello che mi serve E con una mossa femminile d'indifferenza dopo avermi riconosciuto, come fosse sul proscenio della mia attenzione, mi si rivolge sussiegosa ignorandomi con piglio semi freddo di garbato disimpegno; mantenendo la sguardo nell'altrove con nonchalance concentrandosi nel riportarsi su dove ella sia e dove il prodotto per cui è entrata si possa trovare. Rimirando le molteplici cose, e nello sguardo andando oltre gli scaffali sensibili; quasi come misticamente a gettar lo sguardo al banco del pesce, che non vede ma che sa esserci, col pescivendolo che sta rimestando un pentolone di alici marinate. Oppure. Mi vede: e calcola che ciò che deve acquistare è proprio dove sto guardando sullo scaffale. E ri-calcola come un navigatore satellitare il percorso: che non ha voglia di fare, se deve salutarmi: con l'incognita di dover scambiare due parole di circostanza e allora preferisce ignorarmi; e sussiegosa mi liquida  dai pensieri voltando il capo da un'altra parte; recitando la casualità come dettata da una trama miope; negandomi così il saluto imbarazzante se per educazione lo avessi contraccambiato; aprendo plausibilmente uno squarcio al temibile ignoto. Anche per me. Che senza smania avrei contraccambiato, s'intende; ma in cuore l'avrei fatto con una lieve angoscia di dover scambiare queste benedette due parole fritte: come va ? è tanto che non ci si vede eh? buon Natale ? no niente buon Natale che è già passato: questo non glielo avrei chiesto, ma buon anno ce l'avrei fatta ad augurarglielo, ma. Costei mi leva il problema di cosa dirle o non dirle; e se lo leva mantenendo con disincanto, stitica falsità, goffa ingenuità, eleganza di risulta, plastica rigidità, tranquillità in un aplomb di confluenze di linee sul volto: raggrinzito e stolido in quella forma consumata e sgretolante dall'età che inesorabile avanza non concedendo più nulla agli uomini di che essere curiosi, dentro quei panni neri di un nero dark: la osservo. Che mi evita come da copione snob di razza, imparato a memoria nella rozza provincia e allora. Ringrazio il fato e Dio che siamo entrambi decisi a non salutarci. E per dimostrarmi più che naturale e volendo dedicare questa fiducia di ringraziamento al fato e Dio: le passo davanti. Con coraggio sprezzante; convinto che Costei, dopo aver innestato il proprio radar anti rompi coglioni; mi abbia monitorato negli spostamenti tenendomi alla larga confidando altresì, nella mia capacità d'innestare a mia volta il radar anti rompi coglioni, così da evitarla con tacita eleganza e casualità per entrambi; annullandoci per ognuno l'esperienza dell'incontro al supermarket e decido di passarle davanti. Confidando d'essere ignorato e annullato a uomo chiunque; e proprio mentre a passo svelto percorrendo la corsia superandola e Costei sveltamente che mi dà la schiena che...cazzo! Mi cade il pane da toast; rotolando tra i suoi piedi. Con angoscia guardo il toast. Sono moderatamente sconvolto. E sicuramente anche Costei è sconvolta nelle orecchie che hanno registrato immediatamente con sconcerto l'evento della caduta avvenuta dietro la propria schiena, udendo un rotolare di qualcosa che le compare ai suoi piedi. Evento maledettamente scellerato che impone quel salutarsi così necessario e inevitabile ormai...Epperò. Mai dire ormai; quando ci sono delle persone decise a tutto pur di non vedersi e di non salutarsi. Costei osserva da infermiera della Wermacht in un film porno, il pane da toast ai suoi piedi; si piega a novanta gradi; con delicatezza lo raccoglie tra le mani, e lo pone sul primo scaffale di fronte a sè. Senza guardare di chi sia quel pane. Lanciato da qualcuno ? Piombato dal cielo come una meteora ? Niente. E chi se ne frega da dove viene il pane . E dallo scaffale; quasi sfiornadole la blusa nera, senza guardarla in volto: e costei col volto attento a non vedere il mio; riprendo la confezione di pane dallo scaffale avviandomi all'uscita. Pensando che a Costei, nonostante tutto avrei persino detto grazie, per quel suo gentile gesto di raccogliere da terra la confezione del mio pane da toast; ma avrei rotto l'incantesimo con un grazie fuori luogo. Meglio così; e ignorarsi fin che morte non compari, o per l'uno o per l'altro.               

sabato 1 marzo 2014

duecentosettanta

 - i am a star -

...in questi luoghi ignudi che s'affrettano di lentezze inesorabili nell'indossare ogni angolo primavere nei colori; spenti ora sotto i rimproveri di giornate vittime dell'oscurità notturna mai scemata pienamente; che in uno strascico di ricordi neri annulla il giorno; mentre il vento raggomitolandosi ripiomba su di sè; dimostrando rapide freschezze sollevando all'oca piume che rivelano altre piume in un gioco dispettoso; e vedo la nuvolaglia che trapassa il cielo trapassando la coscienza in ogni metro cubo se sfiora gli occhi umani; e il canto che mi pare di udire è del freddo che s'adagia sulle terre; nel loro gelido deporre le speranze in ogni frutto cosparso di raro sole e di cigolii nel vento; e piove dilavando i colori spenti, annerendo di lucido gli alberi senza foglie, annichilendo ogni luce che resuscita riflettendosi tra penombre ora lievi ora indefinite; e sospirando mi dico ma che razza di luce sia mai questa che ti fa accendere i fari dell'automobile; osservando il tempo dal parabrezza, liquido su cui copiosamente piove e ovunque gocce allo stesso modo che rimbalzano sui tetti delle case, sull'asfalto, sulle lamiere accese delle automobili, e sopra gli pneumatici che rotolano viaggiando calpestando e trascinando; ognuna la coda di una cometa...