mercoledì 7 ottobre 2015

quattrocentoquarantatre


- Il teatro notturno -

Abolirei la notte. Negli anni illiberali di gioventù la notte era sapore di vita da compiersi. Se non si fosse compiuta nel lasso di tempo dalle ore piccole, l'esistere l'avrei visto svanire, arretrato sul ventre del giorno, in fitta coltre di significati dagli aromi insopportabili: non vissuto e non consumato. Ora quella notte è colma di vivacità insensata, euforia invernale ai miei occhi. Vivacità che non raccolgo nell'imo, come ne fui ebbro; il passaggio temporale sul ponte interminabile del mio cammino mi vede avanzare con ciò che non svanisce di vivacità caduca; si adempie bruciando di santità sull'altare della serenità, consegnandomi avvoltolato a carezze, il sentimento delle notti di allora: inevitabili finzioni dall'accento mediocre. Per gente come me la luce del giorno ci avrebbe distinto di fallimenti a venire.   

Nessun commento:

Posta un commento