martedì 15 ottobre 2013

centotrentasette

Due ratti bagnati dalle piogge, o bagnati dalle acque di sottosuolo, si ritrovano sulla strada gioiosi e finalmente al secco dell'aria aperta. Vanno, e manifestano la stagione degli amori nel rincorrersi sulla via di pomeriggio, resi ignari nel loro gioco dalla natura, che nel sollazzo e sotto il solleone, li vede rincorrersi rapiti, da quel cercarsi e ritrovarsi pur non nascondendosi; agitando rasoterra le code lunghe striscianti e glabre come vermi saettanti rosa sull'asfalto, con il muso aguzzo avanti che ogni tanto si ferma per odorare l'adusto suolo. Con l'olfatto di ognuno, spugna di afrori su cui i due ratti, affabulano mimando istintivamente la testa in quell'annusare come cuccioli, si seguono come segugi, apparendo nei loro trastulli agli occhi umani un horror vacui. Creando trambusto nella psiche del pedone, che scorgendoli indugia, e pensa se continuare o fermarsi, prendendo una direzione oppure un altra; rifermandosi pronto alla retromarcia; invece scatta sgattaiolando avanti infilando i due ratti nel corridoio sulla destra della via, che pare libera; dai ratti che si vedono superati da due gambe che frettolose s'incamminano allargandosi nel distanziarsi da loro, ma in quel movimento. Il timore dei ratti, e l'imbarazzo del passante nell'alchimia di quel sorpasso, getta scompiglio nelle traiettorie con il destino che interviene materializzando tra le gambe del passante, i ratti indemoniati  tra le caviglie che accendono il panico negli occhi del passante, in quel vedersi quegli spregiudicati  ratti i quali danno l'impressione di voler ricordare com'è pregna d'esplosiva santità la vita, anche quando si evidenzi ripugnante. E solo al batter delle mie mani, quando sopraggiungo come nell'aia la massaia indirizza le galline al ricovero, allo stesso modo i ratti ritrovano lesti la buca della chiavica, e adunghiandola v'infilano i musi, scomparendo nel tombino. Con la coda floscia serpentina, ultima a scomparire in un saluto e fuga di vivacità e di morte, in quel tornare al buio nella fogna, percorrendo le fetide e più sicure vie oscure, di madre terra: simili a budella.           

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