sabato 26 ottobre 2013

centocinquantasei

E fu un sentimento flebile che mi colse. Di felicità salire. Chiedendomi se fosse possibile dopo tanto penare in questa vita irriconoscibile, se fosse diversa da come è;  che mi cogliesse in quel momento. A sedere in chiesa. Tra persone in silenzio e in attesa del principio della messa. Mentre guardavo il muoversi di suore giovani, e una più matura di quelle che stavo osservando, sfilò una chiave e aprì il cancello in ferro che divideva l'altare da noi fedeli. E la vedemmo appoggiare a terra i libercoli per seguire la messa che sarebbe iniziata. E fu lì, che voltandomi da quelle suore che osservavo mi ritrovai a tu per tu la nicchia. Illuminata con la statua della suora col rosario, e muovendo in basso gli occhi, sull'altare sotto vi era una rosa avvolta dalle ragnatele, finta e piccola sostenuta dalla rigidità del gambo in metallo e i petali bianchi dal profilo rosso. Fu un sentimento flebile e impercettibile come un attore che rubi nella gioia, la scena all'inferno. Se fossi stato in strada e distratto dai volti della gente e dai rumori dei motori, non l'avrei percepito come mi parve di percepire. E per quel poco che mi riuscii, mi cullai di speranza, comprendendo l'esattezza dello Spirito Santo, nel concetto di una vita dentro la vita. E fui grato all'ignoto, per come in questi giorni mi avesse svelato con risposte, le domande che nei giorni scorsi mi posi su ogni verità a proposito. Tranquillizzandomi nella forza; e tra quei pensieri, il mondo attorno procedeva. E mi ripresi. Dall'incanto. Con tutto pronto per la messa  iniziata con un canto, vide voltarmi di nuovo all'altare e alle suore che nel frattempo, si erano disposte nello star sedute. Mi alzai dal banco e uscii dalla chiesa. Con la porta che sbattendo piano, mi si chiuse dietro. 

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