domenica 17 novembre 2013

duecentododici

- Gioia -

In quel periodo di Gioia notavi il cranio massiccio. Poco incline all'ideologico essere e a cervellotiche intenzioni del vivere comune; aveva le sembianze da bovino giapponese elegante nell'apparire casual. Gioia era sorridente sempre, in quella sua struttura solida, e non lo conobbi mai personalmente, al di là del colpo d'occhio che a volte gli diedi dalle colonne del portico. E ciò che emergeva da vicino guardandolo era la possibilità che gli fosse esploso un petardo di cocaina in volto, lasciandogli il botto nel cervello oltre a quel sorriso, da paresi simmetrica ridente, garbata e sempiterna. Con l'incipit di singulti in risposta al proferire di qualsiasi parola, o frase rivoltagli, egli rispondendo, si avviava a mitraglietta con le parole, dal tono infantile defluendo il ridens dalla fessura della bocca. Con il fulcro di quel ridens che si riverberava sul ventre, un leggero tremore lo squassava nelle spalle. Ed era contagioso, vederlo così ilare, in quel fremere di vivezza, come fosse gravido di sette mesi e vivesse il nascituro in quel tondo e delizioso ventre, che manifestava pandan nell'accostarsi alle natiche che sfoggiava. Da mamy nera. Così armoniose, fasciate in quell'indossare la salopette di jeans scolorito, o quelle a righe blu forse. Ma son sicuro di avergli visto indossare quella color arancio, e lo vidi leggiadro camminarci estivo sotto il portico. Con le scarpe ginniche Superga, o All Star scendere i gradini del portico del grano, e avviarsi alla sua automobile BMW cabriolet dalla carrozzeria arancio parcheggiata di fronte al teatro, quando ancora si parcheggiava in centro. Di lontano lo osservavo immergersi nella sua vettura scoperta. Piscina brunita di pelle al sole, mentre mezzo seduto al posto di guida, con la portiera aperta, cercava di districarsi col ventre liberandolo dal volante, trovandogli la sistemazione, calibrandola  alle gambe che entravano più agevolmente del ventre ma anch'esse si  incagliavano sotto a quel volante; con la canicola che dall'alto furoreggiava lucida di riflessi sulla pelle umana del cranio calvo di Gioia, che nell'operazione - assetto ventre al posto guida - non riusciva a districarsi così fluido. E non fu fluida nemmeno la sua dipartita che narrava. Di una mattina all'alba sulla via provinciale; scontrandosi con un platano, dopo una sterzata improvvida e fatale causata da un colpo di sonno a quella velocità, di Gioia i pezzi squartati, un braccio, una gamba, la testa, il pollice il busto, l'altra gamba, un orecchio, i denti, la mascella, un pezzo di carne, un altro che sembrava un polpaccio, vennero raccolti un po' qui e un po' là col cucchiaino. Tra il fosso e la campagna. E comunque qualcuno asserì che i conti non tornavano. E sempre mi son chiesto quali pezzi di Gioia non l'abbiano seguito nella tomba, quando in quel mormorare s'insinuò che non trovando altro per completare la salma, nella cassa qualcuno vi aggiunse pezzi di selleria e motore. Tanto chi se ne accorge ?            

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