venerdì 17 gennaio 2014

duecentotrentanove

- Castor Fazil -

Castor Fazil in questi giorni estivi di molto tempo fa, lo avresti trovato sotto il portico di fronte alla vetrina del negozio. Seduto sulla sedia in quella sua mise preferita fatta di ciabatte infradito e calzoni lunghi dozzinali a scacchi. Di tessuto leggeri da sembrar fatti di nulla. Castor Fazil stava seduto sull'arancione ergonomico della sedia in plastica. A fumare una sigaretta. Dietro le altre che ancora bruciavano, di rigagnoli nerastri e aerei tra le decine di altre cicche ripiegate, alcune ancora accese nel posacenere di vetro, riposto sotto la sedia tra i piedi con le dita nude e le unghie spesse e opache. Castor Fazil accavallando le gambe pareva facesse la guardia snob a quelle opere in mostra, con quella sua struttura fisica con cui si contraddistigueva nel sembrare un molosso vestito da umano, senza guinzaglio nè padrone e il volto poi. Da uomo di Neandhertal intelligente, che tra sè va pensieroso di follie. Sedate davanti al negozio. Tramutato in galleria espositiva per l'occasione dove in una collettiva esponeva le sue opere. Pensieroso di soliloqui in questa sua seduta presso l'entrata dove nessuno entrava e nemmeno usciva; Castor Fazil guardingo, con i propri fantasmi benigni e maligni rivolgeva il volto al cielo a volte; e con quei fantasmi elucubrava le analisi a cui era giunto e su cui aveva riflettuto nel corso di molte notti steso sul letto. Giungendo a degli intrecci che in altri tempi, sarebbero divampati in chissà quali paranoie, e ora invece chiamava a raccolta quei suoi fantasmi vestiti come a carnevale da angeli e demoni, ma appena. Gli angeli e i demoni capivano di cosa si trattava; via che filavano ad ali spiegate pur di evitare i suoi soliloqui. Lasciandolo solo a guardare il cielo, tranquillo; in quel viso. Che avresti visto nel passare davati al negozio. Viso dominato da dolcezze rudi, con quella lingua spessa e perennemente assetata che lo marca e lo svela. Lingua dominata da farmaci, i quali viceversa non ci fossero; lo renderebbero folle nell'esprimere impetuosamente quelle verità. Che sente indemoniato; conservandole, poi cestinandole appallottolate, riprendendole e dispiegandole di nuovo brandendole come fossero una spada, ma con grazia, non comprendendo come tali verità non siano comprese nella loro essenza; da chi lo ascolta: giudicandolo. Folle. E come un tempo ciò che egli visse, lo esprime ora così sulla tela senza filtri; i dolori che la vita gli ha elargito negli ostacoli. E se qualcuno lo vedesse lì, seduto su quella sedia Castor Fazil lo sa. Costui lo giudicherebbe, malato nella mente sebbene, proprio dalla mente egli raccolga l'energia espressiva attraverso cui modella le sue opere. Si dice tra sè Castor Fazil: <<...quanti artisti possono essere malati mentalmente masticando sofferenze e poi mostrare di essere pieni di creatività attraverso quelle sofferenze ?...>> ? La sofferenza di Castor Fazil, fisicamente lo ha reso gobbo ma forse la sofferenza non centra in questo; ed è l'afflizione che lo ferisce sulle spalle con quel peso inenarrabile. E in questo cogitare Castor Fazil stava seduto e con la sigaretta premuta tra le dita ingiallite dalla nicotina, sulla sedia sotto il portico vuoto a quell'ora del pomeriggio pieno di calura. Giunse un uomo; con una sporta della spesa tra le mani, a penzoloni, gli passò davanti rallentando e salutandolo vide dal vetro alle spalle di Castor Fazil: le opere esposte sulla parete della galleria. Entrò. E dopo averle viste attentamente; vide il quaderno delle presenze e firmò aggiungendovi a fianco una dedica: ...a Castor Fazil artista col martello; un minuto prima e un minuto dopo, sulle lave del Big Bang...             

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