lunedì 10 luglio 2017

cinquecentouno


- Offida - ( borgo )

Campi di girasoli indispettiti che non guardano il sole, il semaforo sulla salita: freno a mano a sinistra prima marcia inserita a destra. Nella piazzetta stipata di vetture la fontana di bronzo in pompa magna. Due leoni, due aquile, una Dea delle acque, il putto sul capo, l'acqua che sgorga. Dal quarto piano dell'edificio, l'orientale a chiazze di vitilligine sul volto turbato, cui do nome Ruiky, indietreggia dopo aver chiuso le imposte. I due fotografi loquaci, lui sessantenne chic, lei intellettuale col cappello da donna Newyorkese, mi chiedono se l'acqua è potabile. Rispondo che ho bevuto da un po': mi sento ancora bene. Si sentono felloni, ridono. Col treppiede inquadrano la piazzetta, la fontana, cambiano idea, ci salutiamo. Poco distante il portico con sei colonne rivestite con listelli di parquet, la piazza triangolare obliqua alcune persone sedute su panchine governano i capelli scarmigliati dal venticello. L'orgia di bellezza architettonica scavalca l'abitudine al brutto che ho dentro, mi si assottiglia, spazia nella mente, mi raccoglie inerme, esausto corpo nelle braccia della Musa bellezza, mi riconsegna al principio, resuscito a ciò che è degno nell'uomo. La brezza d'inizio sera disegna mio figlio al telefono con sua madre. Guardo la targa sul muro: piazza del popolo. Al termine del portico sul tavolo in noce, una tovaglia bianca, piatti, posate, bicchieri. Dentro il locale, quella porta scura aperta nell'angolo è la cantina. Al Teatro Serpente Aureo posto davanti al portone segue il cartello - chiuso -. M'incammino per via Vannicola Defendente il tipo col pipullo in testa che incrociamo parla per conto suo, sembra prendersela con un interlocutore immaginario; indossa una t-shirt che ricorda la prima pagina d'una fanzine new weave anni 80, cammina gesticola, non fa caso a noi, scompare dietro l'angolo.           



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