martedì 6 agosto 2013

settanta

E scrivo questi versi del non creato non avendo nient'altro su cui gioire: è il senso della vita. Che a volte sfugge dall'impalcatura del buon senso. Tradendo l'ottimismo che necessariamente dovrei avere, per virtù, passione, amore, e invece non ho. E non provo. Non sento nemmeno giungere, attraverso i sensi, miei, sensibili, induriti dall'indignazione, non condivido l'opacità consueta delle menti; o la felicità divenuta consueta che vive nel canovaccio di ciascuno. E se anche la si vedesse apparire questa felicità, potrebbe farsi fugace e inesprimibile nel ricordo di seni nudi duri d'amore. Anch'esso fugace privo di vitalità, vivacità seppellita, come nascosta, celata, addirittura come mai esistita, se il piacere superficiale così rimane. Per rispetto. Che vien meno nell'intimo di ognuno si aggrega al sarcofago di preziosi falsi, cui teniamo, velato, da una tenda che c'illumina per nessuno, sino alla notte dei tempi, al regno dei morti, per libertà insulsa. Viviamo per amarci; noi che ci corromperemo non lasciando null'altro: un flebile ricordo, su cui nessun ricamo di nervi, sangue, carne, troveranno luogo.  

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