martedì 13 agosto 2013

novanta 90

Durante una discussione rancorosa, le feci notare che in tutti quegli anni trascorsi insieme Lei non aveva mai pagato il conto al ristorante; glielo dissi come a voler mettere a fuoco un aspetto per niente signorile della sua personalità, dava a intendere, quanto fosse avara in quell'approfittarsi delle buone maniere, dimostrandosi taccagna, non esibendosi mai per pagare il conto: candida e messa al muro mi rispose che glielo dovevo. La guardai allibito, capii che per anni pensava come Lei desse lustro alla mia estrazione popolana presumibilmente rozza rispetto alla sua Il mio pagare il conto tutte le volte che andavamo al ristorante, in pizzeria, era in realtà pagare secondo la sua visione delle cose, pagare dazio al destino che mi aveva concesso, la fortuna di uscire con una donna bellissima. Lo pensava. E me lo disse in quel modo. Con tono di superiorità, che non avevo mai percepito. Al ché, rimasi basito da quelle parole che parevano estranee a noi ma non lo erano; le  interpretai dette da una fantasia per nulla astratta, proveniente dal convincimento ingenuo scaturito dalla sorpresa dell'affermazione che le avevo rivolto nella discussione. Ci riflettei un attimo in più, alla sua risposta: a pensarci bene a mente fredda, posso dire che avesse ragione. Meritava di essere pagata per il servizio che mi concedeva.   

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