lunedì 3 febbraio 2014

duecentocinquantasei


- Jhoal -

Jhoal è ieratico col sorriso nel coltello e nel cuore degli occhi ha impressa la selva dell'oriente come disegnata da ricordi in lui sempre vivi; e ti va vedendo ciò che fai mentre egli, si avvolge il capo nel turbante di cotone, carta zucchero; e se la periferia del volto che tu vedi, mostra i promontori di una barba brizzolata, lì dal naso inforca gli occhiali scuri di una femminilità gioiosa e civettuola. Jhoal è un sikh; che si presenta con la tuta di lavoro in un pezzo unico di stoffa lisa, con la cintura sulla vita che a figura gonfia al vento pare un omino della Michelin; col coltello contadino pronto all'uso nella fondina che spunta dalla tuta da meccanico rurale con la pubblicità vetusta impressa e scolorita sulla schiena. Jhoal impressiona di esistenza truce, alla guida del furgone colore panna della Volkswagen con cui trasporta in eleganza i tronchi dell'albero da frutto che ha tagliato nel podere; guidando quasi fosse un principiante, con la frizione che stacca in alto; sorprendendolo nell'inesperienza che alla guida egli la traduce in attenzione ed eleganza; promanando una volta sceso e al tuo cospetto: rispetto. Che si deve alle virtù antiche di cui è figlio. Jhoal infatti non è frignone, non si piega a salamelecchi, non prega per favore, o per piacere, poichè quelli che lo fanno poi son disposti a baciarti le natiche all'occorrenza, a farti accoppiare con la moglie per amicizia, oppure offrendo la figlia come cupiglia tra due anime nel legame di convenienza.

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