domenica 26 giugno 2016

quattrocent'ottanta

Dandies :)

<< la società non prova pietà nè misericordia >>  l'assunto è stampato su cartelloni pubblicitari ai lati dell'autostrada prima dell'entrata allo stadio. La fierezza del volto sugli spalti sono di morti sepolti resuscitati visitano la società nel suo insieme, immobili assistono alla partita di calcio. Dietro la stadio un orto tra le montagne pulsa verzura come cuore nel petto, si spacca in formule algebriche di mille pezzi frantumati. Dalla fontana al crocicchio ammiro il novilunio in cielo sul capo reggo un telescopio d'ultima generazione. L'acqua nella fontana incide, l'ombra guizza svelta. Sono a Bologna. Riprendo la rotatoria la prima via a destra, mi son perso, la segnaletica non aiuta. La periferia di sera rinfresca gli uffici dalle finestre aperte nei palazzi in vetro, le insegne dei negozi illuminano scorci di strada puzzolente dallo scarico di vetture, la fermata del bus è una pensilina illuminata. La donna seduta attende il numero esatto. Ragazzi camminano in gruppo vicino al ristorante. Luci e musica. La porta si apre, una donna di colore esce col vestito bianco. Due ragazzi del gruppo la chiamano. Scuri come la notte che incede, le loro teste si stagliano contro i colori tenui del fondo. Il tramonto si dà da fare per chiudere il sipario del crepuscolo, la silouette di teste nere parlotta tra loro. La donna si volta al richiamo dei ragazzi, li riconosce si avvicina, sorride. Passo con la vettura non vedo se la donna dal vestito bianco li bacia, firma un autografo, siano amici o figli. I grattacieli si voltano verso il sole che tramonta: tanti girasoli dai petali di specchio nero. Non riconosco la strada, nemmeno il quartiere, la vettura piccola degli anni 60 ha sul portapacchi una fune con cui lega il busto di Benito Mussolini, svolta si dirige al sottopassaggio e scompare. Il cartello dell'autostrada mi indica la direzione. Un uomo ricurvo sul cane al guinzaglio, controlla lo zoccolo sotto la zampa. La fortuna compare nei fori del ferro con cui sono suonati dalla tromba. Il nugolo d'insetti capofitto all'aria esce dall'astuccio della donna seduta ad attendere il bus col numero esatto. Il marciapiede è palcoscenico per qualche cartaccia arrotolata che si muove. La suburra nella prospettiva si aggancia al palo, il night club di fronte è ancora chiuso. Porto l'effige del mio amore tra i capelli ne conservo il volto imbalsamato rimpicciolito nelle treccine rasta che mi vedo dallo specchietto retrovisore. Parcheggio la bicicletta da corsa convinto di aver sempre guidato sino a qual momento una vettura. La chiudo col catenaccio. Al buio mi dirigo all'entrata del film Fuga da New York, alla guida della vettura parcheggiata c'è Isaac Hayes che in labiale mi canta Shaft << who's the black private dick / that a sex machine to all the chicks ? / shaft, you're damn right who is the man >> non capisco una parola di quello che mi dice gli mostro il dito medio. Salgo in ascensore sino all'ultimo piano del palazzo di vetro. Entro nell'ufficio. Nettuno possente, col forcone siede sullo scranno disegnato da Armani / Dolce Gabbana la patina d'argento spalmata sul corpo mi ricorda il cantante dei Rockets al concerto che vidi al Picchio Verde di Carpi nel 1979: rido, ma cambio idea appena mi guarda. Aletto / Tisifone / Megera: le Erinni nude sedute a gambe accavallate come dame al ballo della quadriglia, attendono che l'orchestra suoni la mazurca, nel frattempo discutono della spiaggia di nudisti a Creta, guardano le mille luci della città e della periferia voltandomi le spalle con il drink in mano. Tisifone la peggio esteticamente delle tre mi domanda se desidero un Drink ol Gazpacho. Accetto il Drink chiedo il Brooklin Bomber con tequila / curacao / cherry brandy / galliano / succo di limone / mi risponde << si beve quel che c'è ! >> mi allunga una Tassoni / Aperol la fetta d'arancio a bordo bicchiere. Penso che siano divinità rimbambite in più eccentriche. Istintivamente cerco il coltello per tagliare cruentemente il cordone ombelicale. Il trillo del telefono mi sveglia apro gli occhi incosciente rispondo: è quella della compagnia telefonica che mi telefona dall'Albania per fare i miei interessi. Mi propone una tariffa vantaggiosa. Ascolto, le dico che ha telefonato nel pieno di una veglia funebre: se vuole può parlare col morto, io non sono altro che un umile becchino.                      

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