venerdì 3 giugno 2016

quattrocentosessantanove



Oppio :)

Avvisto una figura con l'andatura trafelata all'incrocio via Berengario via Fassi lo riconosco è Tullio il visionario, si ferma ad osservare la Chiesa. Improvvisamente fosse un Black Block in suit gessato, avvolge un messaggio alla punta di bronzo del giavellotto in vetro, lancia l'ipotesi al costato del muro di San Nicolò. Dalla crepa l'acqua fuoriesce scura mezzo forte, la cascata di brutalità espressionista innonda il sagrato a briciole di sasso; dall'angolo occulto della curva di via Catellani partorisce la propria melodia Flora, sirena muliebre, statua costellata d'innumerevoli verdi, intreccia alghe, muschi, licheni. Nuda si muove strizza l'occhio, piroetta civetta chiunque con la vista le tocchi il seno conserva la chiave delle porte che aprono i battenti alla fortuna. Mi nascondo, Virgilio altrettanto non possiamo farci riconoscere, lo sguardo di Flora è incantesimo di follia amore perenni nell'anima; nè preavviso nè consapevolezza si diviene statue dalle fattezze umane. Ad animale nel verde dell'erba folta, striscio cobra dorato; Virgilio impugna lo scudo pelle di pecora, benda gli occhi con una cintura in cuoio, segue il segnale di fumo che brucia, sale dal porta incenso che tengo sulla piattaforma a cilindro legata al dorso. Dal muro della Chiesa di San Francesco pendono le scarpe d'oro al chiodo. Giungiamo a porta Modena; con le calosce nudo le pudenda al vento, accatasto milioni d'occhi in piramidi multicolori, ciglia palpebre battenti ai lati, hanno le elitre con cui vengono trasportate via da carogne putrescenti in cui dormono rovesciate sul selciato. Virgilio toglie la benda in cuoio Tricolore indossa il casco bianco a cuoricini neri; in piazza Ramazzini quattro rane sostengono la conchiglia, fontana vuota su cui in posa la giunonica sirenetta gemella Flora è abbandonata all'incuria. Mi chiede pochi euro da far tintinnare e ruzzolare nella conchiglia, mi invita ad eiaculare sul presente per gioire nel futuro. Amo gli oracoli con cui dialogare sinceramente: sono una rarità di questi tempi. Facciamo l'amore, tiene alla verginità nonostante l'età, mi consiglia l'orifizio adiacente. La sodomizzo, si gira all'indietro è una gatta di dolore, fa le fusa, impreca Dio come non comanda; accelero a colpi cerco l'orgasmo. L'avvisto nel capanno della brughiera ventosa, lo rintraccio a singhiozzo mi accorgo che m'attende, anch'esso impreca; di nuovo e di nuovo insieme, scivoliamo stridore sul lastricato d'acciaio strofiniamo la carne nello zolfo incendiario << non libera nos a malo >> la canzone è per Dio non desidero che ascolti, nè Lui nè i Suoi tirapiedi; afferro Marte in bocca, mi galvanizzo al centro del sistema: mi affretto. Eiaculo nel retto, odo l'eccellenza del piacere venire / scomparire; nel sussulto dico Amen svestito da Demonio di provincia. Mi sveglio con un'erezione nei jeans, distinguo la scena finale di me che eiaculo nel deretano della Dea: mi riaddormento per tornare nel sogno, riprendo da dove ho finito, incontro Virgilio, mi mette in guardia dalla Dea << non fare l'amore con la Dea Flora, si chiama Rocco: è un ermafrodito >>. Non dico niente, ci allontaniamo dalla statua di Flora in piazza Ramazzini. Salgo corso Roma in direzione della piazzetta Garibaldi seguo il sentiero 615 sul trono del silenzio greto del fiume, vibra il torrente scroscia ottura l'udito, incrocio la discesa di un uomo della beat generation con la bandana azzurra legata in testa, stampa hennè bianchi, fischietta e canticchia << te voglio bene assje / ma tanto tanto bene sai / è una catena ormai / che scioglie il sangue dint' e vvene sai /. Il tichettio delle bacchette telescopiche sulla roccia trasormano la discesa dal pendio roccioso dell'uomo con la bandana azzurra in una immagine folgorante e folle: indossa la tunica da personaggio biblico, barba bianca, capelli lunghi. Mi siedo in piazzetta Garibaldi, poggio il guinzaglio sulla panchina di marmo. Abbraccio il cane affondo il naso nel pelo, entro nella brughiera ventosa assolata, la casupola dove si ripongono le attrezzature di campagna ha un mattone del muro, lo sostiene il color carminio copertina di un dizionario Zingarelli. Il putto mi trafigge il cuore con la freccia su cui è inciso - metamorfosi-. Sollevo il naso dal pelo, la piazzetta è invasa da nutrie / fagiani dal piumaggio rigoroso; divorano quadrifogli di campo, attraverso la bellezza i fagiani dall'occhio pittato, distolgono lo sguardo degli uomini ignari sulla roccaforte di tavoli e tavolacci su cui veleggiano i flut di vino bianco frizzante. Con senso di repulsione Virigilio si fa strada in piazzetta Garibaldi tra uccelli, roditori. Rox Muriatico tenta d'incendiare il pelo alle nutrie con l'accendino bic, corrono velocemente, torce nane combuste. << Le vuoi allo spiedo ? o vanno bene come sono, te le porti via al cartoccio ? >> ride. Incendia le ali ai fagiani, magia il volo fuggiasco dalle ali di fuoco si alleggerisce: da gallinaceo in colibrì incendiari diretti ai tetti celesti. << Preferisci i fagiani al forno ? >> ride. Virgilio fa posto, Rox Muriatico siede sulla panchina. Colgo l'attimo, la mia città ha un chè di meraviglioso. Mi sveglio spettinato, guardo fuori dalla finestra che tempo fa, controllo se Virgilio / Rox Muriatico sono seduti sulla panchina: sorrido all'idea. In cucina preparo il caffè, taglio le arance le spremo, vado in bagno, mi siedo. Penso al sogno, al tipo della beat generation che ho incontrato, l'ho sulla punta della lingua: Herbert Huncke, ecco chi era. Quel gaglioffo di Herbert Huncke.         

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