martedì 26 febbraio 2019

cinquecentoquaranta

Rimane al largo Ares, mette l'accento al possesso d'addio. Inizialmente le distanze fischi disumani ma le partite sono storie a sé. In ritardo Ermes tra onde schiumanti battute dal vento Eolo è rintracciabile nel lavello d'acciaio inox cucita a due vite. L'incontro tra i due a sud dell'equatore ride sui promontori dalle belle ginocchia. La palla è viva la rincorre Elatus, sulla battigia. Una conchiglia vegeta in 15 ettari tutt'altro che rinunciatari. Se col flauto si attira proposizioni in ferro, alcune lenti nuziali fanno capolino dietro la schiena del sarto. La silfide accarezza il cane nel salotto: le tende ricamate sabbia, dà il falso allarme. Ne approfitta Ares per rinfrescarsi, nuota nell'acquario, esce dal dipinto con la sirena, le tiene la pinna in mano. Timone incontenibile, non è cambiato nulla in Aedo, vive stabilmente corda di violino nell'aria. Di pomeriggio preannuncia tempesta, Ermes guarda riguarda nel tunnel della verticale, tempesta non ne vede. Profonda nelle alghe la bella idea ondulata scultura umana nelle acque, si propaga negli occhi di chi la vede, non è segnalata con branchie ma con seni poderosi; c'è chi vi rimane male. Afrodite trova il goal, fa l'amore sul margine del fiume, si fa le unghie nella schiena sangue amante. Da vera aristocratica conferma la qualità della sua rosa cosmos.      

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