lunedì 10 marzo 2014

duecentosettantasei

Che 
vuoi che me ne 
importi della faccia: l'ho
persa mille volte e mille volte
 l'ho ritrovata. Che vuoi che me
 ne importi dell'anima: talmente
scura da non poterci controllare 
neanche l'olio. Che vuoi che me ne 
importi dell'amore che non ho, se per 
talento ciò che non mi appartiene non lo 
desidero; e non m'importa nemmeno della morte; 
da quando ho intuito; che per chi vive definirla è 
un attimo; sebbene quell'attimo non gli appartenga
ma sia di chi muore e non vedrà.
Ma che vuoi che m'importi di queste
                                                  congetture dal sapore di facezie; e poi
non ho altro da confessare.
Piuttosto:
  qui le riviste non mi piacciono 
queste agiografie mi danni i nervi, 
e le confessioni di Sant'Agostino, e i
martiri, e i luoghi santi eccetera: senti me.
Mettiti un mazzo di carte in tasca, tenendo
stretta una bottiglia di buon vino nel cartoccio, e due
bicchieri nell'altra di tasca; e se ce la fai una donnetta 
allegra  e spensierata; che quando prima o poi arrivi 
ci facciamo una partita a carte sorseggiando vino e ci 
divertiamo prima della fine. Qui all'inferno c'è un sacco 
di gente col biglietto numerato come in farmacia e attende 
il proprio turno: pare che per il Giorno del Giudizio ci voglia 
tempo: Dio fa le cose con calma; e noi 
dovremo pur ammazzare il tempo, no!? 
                 

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