domenica 9 marzo 2014

duecentosettantacinque

- il professor Hermann Dimitris -


Sarebbe stato assai improbabile scorgere il professor Hermann Dimitris d'estate passeggiare sotto la canicola diurna, con dei calzoni corti o dei sandali salesiani e ciascun sandalo munito di rosa coprente l'alluce. Fiore rosso o scarlatto o vermiglio o rubro chissà. Quali di queste tinte avrebbe scelto se avesse dovuto scegliere; forse lo scarlatto anche se propendo al rubro. Come il colore della vena che lievemente sottocutanea gli scorreva sulla fronte nel suo svelto incedere. Candido furetto, magro, nervoso, e pieno di congetture; come di chi ha in mente un'opera e il suo completamento: in quel suo incedere si riflettè in un'ombra sul porfido osservando, e non vedendo. Avanzare i propri passi. E in quel venire. Lo vidi da lontano sul limite della piazza; dove i piccoli cubi di pietra si trasformano in blocchi più grandi e il dislivello è zoccolo e confine; riprincipiando e ridivenendo selciato posato a semicerchi arcuati, orientando lo sguardo in onde geometriche che si allargano; su quel porfido il professor Hermann Dimitris avanzava nel suo svelto andare stringendo i manici della cartella in pelle scura; sobrio e folle, di luce tesa condita pacatamente nello sguardo, che l'animo traduce, si folle. Ma quieto di sobrietà, per i misteri filosofici dell'esistenza interiore. In fin dei conti era un professore; in giacca scura e calzoni in tinta. Che nel cercare la frescura in quelle torride estati notturne lo avresti scorto in piedi. In piazza. Declamare alcuni versi. Di un suo poema agli astanti; in tono aulico, e gestuale tra i tavolini e le seggiole, dando le spalle al castello e poi. Seduto. Dinnanzi al bar all'ora di chiusura. Col tavolino al centro, fisso come un perno o come un basso altare; e tutti attorno seduti a gambe accavallate, ospiti della piazza viva e numerosa di anime nottambule. Il professor Hermann Dimitris tra le luci e le penombre di quelle sere stava in piedi. Davanti al magistrato, all'imprenditore, allo studente, allo sfaccendato, al disadattato, al sindaco, all'assessore, all'aristocratico, allo snob, al parvenù, al metalmeccanico in mutua, all'ubriaco con stile, al biscattiere, al rivoluzionario Trozkista, all'emigrato tornato ricco, al tatuato col percing al naso, alla femminista liberale, al camerata occulto, all'anziana colta di famiglia aristocratica, all'umile religiosa con lo spirito pantocrate sulle labbra che tacciono, sino al cameriere a fine serata lavorativa, e il prete dalla buona forchetta che accaldato dalla lenta digestione ultimo, sedendosi bofonchia affaticato portando la mano sulla bocca, tentando di zittire le propria budella: il quale si aggiunge a tutto il pubblico sorridente: seduti fermi e ipnotizzati nell'udire quel declamare di versi; lo odono zittirsi piano e riprendere. Con lo spirito vorace di chi è sul crinale d'un beffardo mondo. Il professor Hermann Dimitris stava ieratico gesticolando sprofondando nel volto di chi tutto elabora in purezza. E una volta lo udii anch'io. Una di quelle sere passai e lo sentii declamare versi che dicevano <<... miei concittadini cari...quanto dista la luna...? Io vi parlo e mi zittisco...e poi vi parlo e voi mi dileggiate...sono comico sollazzo e probabilmente pazzo...per le vostre renose menti...miei concittadini quanto dista per voi la luna ? E per i vostri cari quanto dista il sole ? Similmente più avranno a che far con voi e sempre più vi saran distanti ...esattamente come il sole e la luna...>>..!..<<...per non parlare del buco nero...>>. E un uditore tra tutte quelle persone, a quelle parole enunciate in tono criptico; chiese <<...che buco nero professore !?...>> Il professore Hermann Dimitris girò il collo, sul cui collo ingessava il proprio cranio, e in una smorfia altera e col mento all'insù guardando l'uomo che gli aveva posto la domanda; lieve scattò levando il braccio in direzione degli astri che aveva nominato e da tetrante e condottiero all'assalto in tutta calma rispose <<... voi mi chiedete che buco nero sia...? ...>> fermandosi in una pausa; nel silenzio dell'attesa di tutti gli spettatori con lui: e lentamente come a essere su un palcoscenico dell'antica Grecia declamò <<...il buco nero è...il buco del vostro culo...>>.                 

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