giovedì 26 aprile 2018

cinquecentotrentadue

Entro nel bar di montagna color caramella, la rivendita di tabacchi all'angolo, la macchina del caffè color acciaio non visibile alla prima occhiata; la ragazza giovane col sorriso professionale non troppo distante, nè ossequioso, mi fissa: le chiedo un caffè. Mi volto, sul muro un quadro rettangolare che non è un quadro ma finestra all'interno di stipiti bianchi che scambio cornici svetta in un paesaggio brullo, acquiescente, invernale, inquietante, magnifico: la vetta nera della montagna. Mi avvicino per rendermi conto di quello che al primo momento pareva illusione ottica. Il caffè è pronto, lo sorseggio, riguardo quello che pareva un'illusione ottica poi mi volto in direzione della porta d'entrata: di fianco due donne sedute su due seggiole dialogano. Una con gli occhiali il viso grossolano leggermente paffuto è vestita dalla domenica; la seconda, braccia conserte ha una parrucca le calze rigate da Pippi calzelunghe, gonna corta i seni gonfi innaturali le zeppe ai piedi col tacco, lacci alla caviglia le gambe accavallate la barba accennata, i tratti di un uomo maturo con le pieghe che gli scavano gli zigomi in viso. Di quei normotipi che guidano il trattore se fai un giro per la campagna. Lo osservo meglio per capire: la parrucca è color tiziano la barba d'un giorno è bianca: non lo guardo più. Il tipo s'accorge d'essere osservato, non vorrei pensasse che lo corteggio. Fare del gerontosesso con un transessuale non è una mia ambizione. Poggio la tazzina sul piattino: tinc. Pago. Bla bla bla, le due donne conversano, sveltamente esco dal bar. S'è fatta sera.      

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