domenica 29 gennaio 2017

quattrocentonovantacinque



 - Un cocktail con Emily Dickinson -


Seduto al bar sorseggio il mio caffè, tutto nel disegno che mi si svolge davanti è lontano. Il piano americano della donna che fuma di scorcio fuori dalla porta del bar, digita l'abito nero su cui taglia le ali di farfalla; le indossa attraversando la notte ignora i radar, gli infrarossi che detengono il potere dell'invisibile, segue alcuni versi poderosi che le illuminano il percorso, atterra posandosi esattamente di fronte a me. L'uno davanti all'altra. L'onirico mi percuote si deposita sogno di lei nella mente. La donna appende le ali all'appendiabiti. Si siede ordiniamo il cocktail Daiquiri: Ernest Hemingway ne era un forte intenditore rum, limone, zucchero, ghiaccio tritato, maraschino, la versione inventata da Hemingway nota come Papa doble da cui tolse lo zucchero, lo ordinava doppio. Conversiamo amabilmente del nostro modo di vedere la vita, del modo di morire, resuscitare giochiamo con l'eternità di cui l'umanità teme la trama, la prospettiva della parola nella coscienza, prospettiva immagine nell'inconscio collettivo, individuale, sul determinismo dei colori ecc. Emily Dickinson aprezza il Daiquiri sorseggia sulla sedia a dondolo che si è portata dal Massachusetts ascolta le parole che tra noi fluiscono a tal punto, che dolcemente si alza dalla sedia con una forbice di argento taglia alcune frasi annodate, ingarbugliate, dopo essere state espresse nel discorso da cui fuoriescono come da un cilindro nero quattro colombe di bianco lunare, volano di qui di là dentro il bar sino ad atterrare sul tavolino, sul davanzale della finestra bagnata di pioggia, sull'orlo del bicchiere da cocktail, poi ne esce una quinta colomba fatta di jeans con le zampette in ferro rosa pare anch'essa fatta da Dio penso" buffa la vita, vola come le altre ! " Nel frattempo Emily taglia e cuce le parole sino a quando si rimette a sedere sulla sedia a dondolo, mi mostra una parola ricamata da lei su una pezzuola con scritto WOW che mi dona, mi lego alla fronte come pasdaran nella guerra tra Iran / Iraq guardiano della rivoluzione, sulla pezzuola i versetti del Corano passaporto per il paradiso con cui il pasdaran affronta la battaglia. Emily si rimette a sedere sorseggia il Daiquiri lentamente, per manifestarle la mia gioia per il dono del WOW ricamato, aziono il carillon minuscolo piano nero sul banco del bar, la musichetta è accompagnata dalle parole recitate da Ian Curtis cantante dei Joy Division della poesia di Cesare Pavese // Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,  questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo. I tuoi occhi saranno una vana parola, un grido taciuto, un silenzio. Così li vedi ogni mattina su te sola ti pieghi nello specchio. O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla // Thelonius Monk piccolo suonatore del carillon dopo aver atteso l'applauso meritato che nè io nè Emily gli neghiamo per l'accompagnamento musicale alla struggente poesia, fugge a gran carriera scivola sul banco reggendosi alla zuccheriera per l'arrivo minaccioso di uno stormo di uccelli elettrici in volo. Entrati a gran carriera attraverso la finestra dove il colombo bianco lunare tuba sul davanzale avvicinandosi e allontanandosi dal vaso in cui una mano umana piantata a mo' di bonsai da chissà chi, funge da pianta carnivora; uccelli da un lungometraggio di Alfred Hitchcock con la dinamo sotto le ali il becco acceso dal faro atterrano come una foto ricordo nel dehor di tavolini e allo stesso tempo a centinaia di chilometri in piazza del Duomo di Milano. Svolazzano sul volto e la testa di Ian Curtis il quale sorride a Emily Dickinson che ricambia mi sussurra " quel cantante ha un viso da britannico intelligente che viene dalla periferia " Thomas Stearn Elliot uscito dalla toilette sedutosi digita lo smarth phone s'infila l'auricolare si alza butta nel cestino un foglio appallottolato, ed esce a fumare una sigaretta. Lo vedo ridere di gusto mentre se l'accende, si volta mi guarda alza la mano regge un cartello che mi mostra oltre la vetrina del bar, c'è scritto - se il vino non lo reggi te lo devi magnà a chicchi ! ( Bacco ) - Rido sonoramente mi piego verso il cestino, raccolgo il foglio appallottolato lo svolgo in corsivo è vergato il testo della canzone Love Will Tear Us Apart dei Joy Division scritta proprio da Ian Curtis forse la canzone più struggente degli anni 80 /90 della new weave. Sussurro all'orecchio di Emily rispondo" si è britannico, famoso negli anni 80, autore di una canzone famosissima s'intitola Love Will Tear Us Apart scritta mentre si stava dividendo con la sua compagna Deborah s'è impiccato ad una rastrelliera fissata nella cucina di casa " le leggo l'inizio del testo della canzone dal foglio gettato da T. S. Elliot " when routine bites hard, and ambition are low, and the resentement rides high, but emotion won't grow, and we're changing our ways, taking different roads, then love love will tear us apart " cerco di tradurre il testo in Italiano - quando la routine morde duro, le ambizioni sono basse, il risentimento vola in testa, le emozioni non crescono, stiamo cambiando i nostri modi prendendo strade diverse, poi l'amore ci farà a pezzi - sono ipnotizzato dalle parole; entra in bar Slobodan l'amico che incontro ogni mattina al lavoro vestito da centurione romano fisico guerriero viso stralunato siede al tavolino si spalma una crema antiinfiammatoria sul ginocchio tra se maledice non so chi a voce alta si lamenta che ha i tendini infiammati mi mostra la custodia del farmaco voltaren gel mi dice che sta facendo la comparsa in un film storico dei fratelli Cohen sul set è estate c'è un caldo torrido gli è venuta voglia di mangiare un cocomero, gli dico che le cocomere d'inverno se ci sono le vendono alla Coop, mi risponde che non gli piace andare alla Coop vestito da centurione romano, chissà cosa pensa la gente, gli dico di non preoccuparsi di solito la gente che va ai supermercati non pensa; comunque non gli piace, mi chiede se in zona c'è un negozio di frutta, gli dico non so, avvia dal cellulare il navigatore per vedere se in zona c'è un negozio che a febbraio vende i cocomeri gli faccio gli auguri. T.S.Elliot mi mostra un altro cartello su cui c'è scritto- prima devi sapè perchè stai al monno, quando sai il perchè ce stai, te devi imparà a staccè- e ride a crepapelle - penso che sia un cartello antistorico, nessuno si pone più la domanda di sapere perchè si vive. Ian Curtis si allaccia la cintura ed esce dal bar mentre i baristi cinesi assorti nei loro giochi allo smarth phone pare abbiano un talento per la distrazione che è impareggiabile, guardano un film western parlato in tedesco sottotitolato in cinese e ridono come matti. Mi volto guardo Emily che ha cercato di tradurre il cartello vergato in romanesco da T.S.Elliot le direi che quando iniziai ad amare la poesia la prima cosa che feci fu imparare a memoria una sua poesia dopo aver letto Lezioni Americane di Italo Calvino ma taccio e penso alla mia Musa, guardo la televisione sul palco suonano i Rolling Stones un po' matusalemme sembrano morti che ballano, dalle nostre parti si dice: la morte ubriaca. Al tavolino nell'angolo Andy Wharol mangia un hamburger il cineasta della Factory lo inquadra per tutta la scena dello spuntino, nel finale Andy si presenta al pubblico " my name is Andy Wharol just finally eating hamburger " si alza si aggiusta la cravatta scompare dalla telecamera la quale registra la scena della vetrina oltre la vetrina un paio di gambe che passano svelte un cane di piccola taglia al guinzaglio annusa un angolo. Emily con mia sorpresa traduce il cartello in romanesco di T.S.Elliot sorride. Vedere i Rolling Stones nonostante siano eccellenti strumentisti mi deprime, sono delle carcasse. Se qualcuno di loro morisse mentre suona non mi stupirei: sarebbe uno scoop. Vedremmo la morte in diretta infinite volte, da tutte le posizioni come una lezione di kamasutra. Le gambe inquadrate dalla telecamera della Factory di Andy Wharol trasportano il corpo di un uomo corpulento che lega il cane al guinzaglio al muro entra parla in francese ha una Goluoise bianca gli penzola dalla bocca i baristi cinesi distratti lo ascoltano a braccia conserte sul bancone chiede un Pernot. Si guardano stupiti non sanno che cosa sia un Pernot. Da attore consumato il francese corpulento estrae dalla tasca per i due a bocca aperta una bottiglia di Pernot, sorride mi guarda: ho il nome sulla punta della lingua di sto tipo  l'ho visto in fotografia è  Jaques Prevèrt. L'aeroplano a motore di nome Pippo sorvola la zona della ferrovia una volta sulle nostre teste lancia distribuisce volantini. Jaques Prèvert esce dal bar col la bottiglia di Pernot in mano guarda in alto il volo della cicogna in ferro lo svolazzare dei volantini ne raccatta qualcuno rientra in bar assorto nella lettura. Col volto interdetto mi mostra il volantino dove non compare nessuna scritta. Ian Curtis cresciuto in una suburbia, smaliziato, con una moneta di alluminio magnesio delle 10 lire Italiane dove compaiono le due spighe di grano dall'altro lato l'aratro, gratta sul volantino, dove compare un messaggio un ologramma della Musa. Il cane legato al guinzaglio è un Jack Russel dal temperamento dinamico quando vede la gatta rossa di dove lavoro, la Mimina che salta sul davanzale per addentare la colomba, si divincola col collare inerte strisciante a terra la rincorre abbaiando con decisione. La colomba vola per tempo evita di diventare pasto per la Mimina, non le rimane che addentare la mano bonsai nel vaso il quale sente i denti aguzzi affondare nel legno lancia un urlo che atterrisce. Il Jack Russell fugge nell'angolo si lega il guinzaglio all'anella, la Mimina scompare. Leggo il messaggio ologramma della Musa, Ian Curtis si allontana senza chiedere di tradurlo. Emily non chiede, capisce. T.S.Eliot è disinteressato gioca alla slot machine Jaques Prèvert mi recita una sua poesia di amore. Qui est là / Personne / C'est simplement mon coeur qui bat /Qui bat très fort / A cause de toi / Mais dehors / La petite main de bronzesur la porte de bois / Ne bouge pas /Ne remue pas / Ne remue pas seulemente le petit bout du doigt. ( Chi è / Nessuno / E' solo il mio cuore che batte / Che batte forte forte / Per te / Ma fuori / La manina di bronzo sulla porta di legno / Non si muove / Non si agita / Non muove nemmeno la punta del dito ) Annuisco: lo so bene. Rodolfo miagola, fuori dalla vetrina mi ha individuato, cerca la porta di entrata, s'infila tra le gambe dei tavoli, di quelle umane, salta sulla sedia fa le fusa si accocola tra le gambe. Gene Hackman e Ava Gardner si siedono a tavolino al freddo lei indossa maglia gonna scuri in tinta, una pelliccia di volpe due orecchini d'oro ai lobi, Gene Hackman ha pantaloni di lana, giacca da caccia di tweed e cravatta di seta smeraldo un cappello con la piuma. Ava Gardner mi saluta Gene Hackman mi sorride il cane un kurzhaar, mi fa le feste mentre mi avvicino, è la Nori. Gene Hackman è mio nonno Ava Gadner mia nonna si toglie gli occhiali, rimuove con perizia l'occhio di vetro lo pulisce come una lente appannata l'infila di nuovo nell'incavo mi chiama Nìgò, il soprannome che usava quando ero bambino. L'ultima volta che li vidi a tavolino insieme, eravamo al lago di Lucerna negli anni 70: ordinammo un gelato, ce lo servirono in un bicchiere con un biscotto infilato di traverso. Del bicchiere ricordo tre petali in vetro, il gelato stucchevole come tutti i supermercati dove mia nonna amava andare. Li, la sua immaginazione, correva ragazza / donna superava panorami di misera guerra, la curiosità soddisfatta, il desiderio di stupirsi su tutti i prodotti, come ci si stupisce d'amore nelle fiabe, oltre ad essere novità da poter acquistare.  Mia nonna aveva una qualità, rendeva tutto il mondo che la circondava effervescente. Aveva avuto in dono assieme a mio nonno l'incanto della consuetudine. I boschi che circondavano la cittadina in cui vivevamo, le vetture che scorrevano sulle strade moderne di allora, l'architettura dei ponti simile al viso dei contadini del luogo, la ferrovia scorrevole dai locomotori pesanti, la neve che appesantisce le fatiche fisiche e allevia il senso mortale della vita, la luna magica illusione, il cielo stellato infinito corpo mistico in ognuno di noi; la magia di allora che è perduta, la incontro solo nelle poesie, mentre allora tutto risultava magicamente plastico vivo dentro e fuori, le persone seppur serie, ieratiche, brillavano. I miei nonni scompaiono, Rodolfo acciambellato non più sulla sedia ma sul termosifone dorme sereno quando torno. Il bar pare uno scheletro di cose senza nessuna anima, Emily ha lasciato il suo bicchiere di Daiquiri sul tavolo vicino alla tazzina di caffè, pago il conto me ne vado.        
         


                         

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