domenica 24 aprile 2016

quattrocentosessanta

- Si -

Il voto del referendum non vale niente ma nutro il senso democratico del voto. Nella cabina elettorale leggo la formula del referendum la quale inizia come la formula del matrimonio con cui il sacerdote unisce in matrimonio gli sposi. Vuole lei abrogare ecc. mentre per il sacerdote è: vuole lei sposare il qui presente / la qui presente ecc. In ogni caso segno una X sul si, ripiego la scheda, la consegno alla signora con gli occhiali che ricorda una cuoca della mensa aziendale; di quelle che vedi mescolare il brodo nel pentolone, servire il piatto di fusilli panna e salmone da sopra la vetrinetta; col marito quando fa l'amore ingaggia una sorta di caccia all'uomo con rissa a pennellate ritmiche da rodeo poi il marito non più giovane col fiatone dà forfait, si addormentano. Le consegno la scheda ed esco guardo la scrutinatrice, anzi due, col viso universitario del Dams di Bologna, ma che poi hanno preferito la facoltà di fisica / matematica che ne so, la più timida arrossisce come donna giovane arrossisce a uomo, sulla via del molto maturo quasi vecchio non potrei pensare abbia scorto l'amore, l'avvenenza in me; è antropologico, di zona primitiva che le donne hanno fuori dal razionale, istintuale dove la carne è zona franca, profuma di post nucleare, estinzione, che è il rischio segnalato dal rossore sulle guance di consapevole necessità; non è altro che questo. Semplicemente. Donna, uomo, noi fottere, io incinta, no estinzione. Ragionamento primitivo, selvaggio, che conserva. Esco. Nel portico della suburra incrocio persone di colore mi dirigo al Ristobar: inforco gli occhiali alla ragazza orientale ordino una porzione di Sake Maki col salmone una di Tekka Maki col tonno una di Suzuki Maki col branzino una di Ikura con uova di salmone una birra Asahi. In televisione c'è una trasmissione che fa vedere le Candid camera. La ragazza parla un ottimo Italiano le faccio i complimenti per il cibo. Mi dirigo al cinema, il film che proiettano l'ho già visto, parlo con la maschera la quale mi spiega che il programma dei film è terminato e che la scelta sino all'inverno sarà dettata dalla casualità delle uscite, sorrido alla cassiera dal volto intelligente. L'aria della serata è decisamente calda la vita pare abbia più valore nelle cose che si decidono di fare, nel volto delle persone che incrocio c'è un'euforia di vitalità che mi spiazza a cui non sono abituato; osservo quei tre personaggi laggiù che si allontanano vestiti con costumi africani, mi ricordano Pulcinella Arlecchino un figurante al palio di Siena o in qualche altra festa, l'insegna luminosa del parcheggio interrato è spenta, le vetture parcheggiate nella via silenziosa che brulica di rinascita della natura nelle aiuole nelle siepi nei balconi sui davanzali, apro la portiera della vettura vedo se faccio in tempo ad andare in quell'altro cinema d'Essai, non so nemmeno che film proiettano, ma che importa. La città è un film io regista e prim'attore la scenegiatura tutta una improvvisazione alla The Factory di Andy Wharol.          

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