domenica 24 agosto 2014

trecentotrentacinque



 - la mia città -


camminando sulla piazza della mia città; contemplo le lancette dell'orologio del campanile che girano da secoli per gli occhi degli indigeni; la modernità decreta che il tempo e il luogo non gli appartiene come una volta e percepisco di essere nella moltitudine sconosciuta; da quando il danaro assicura l'immortalità sarebbe di vitale importanza non farlo sapere ai miserabili; la politica non solo ha sdoganato la morte per gioco a questi poveri del mondo come atto di liberazione per tutti, di modo che si possa festeggiare l'ignoranza maestra della nostra civiltà democratica; ma pare non voglia nemmeno intromettersi negli affari dei cittadini in difficoltà con questi miserabili: coloro i quali sono compromessi con la politica dicono di no, che non sia vero: così appare ai più, come se la minoranza fosse maggioranza nel gestire le ingiustizie; strana democrazia dicono alcuni: ci vorrebbe la patente, requisito indispensabile diversamente la democrazia si estingue; nell'inciviltà dei propri passi mossi aggrappandosi alla bulimia di se stessa che tutto fagocita risultando insana, iniqua, per chi accetta le regole e ci abita; gli arabi dicono che il mestolo grande affoga il bambino e in una democrazia che funzioni, il sarto si regola con le misure esatte dell'individuo a cui confeziona il vestito richiesto; ma le ragioni forti della povertà sono il cavallo di Troia per le ragioni deboli che approffittandosene sformano il vestito del sarto; qualcuno sentenzia che quando certi politici moriranno non dovrebbero trovarsi male nella condizione nuova ma ideale se identica a quando  vivevano; lontani dalla realtà, senza competizioni, senza discussioni, vestiti di tutto punto; e proseguo sulla via, le donne slave che non mi hanno mai visto, mi osservano di sottecchi reputandomi straniero, a casa mia; è perduta la magia dell'esistenza se non si assapora il pulsare del luogo in cui si vive, così divento ostile a queste due slave; il mussulmano piscia sul muro della Cattedrale, mi dissero fossero ubriachi lui e i suoi amici, non una leggenda metropolitana, verità notturne spicciole che trovano dignità nella bruttezza: incubo per tutti; mi fermo sotto la Cattedrale in ristrutturazione, dalla sua statura le parole la contraddistinguono; le quali non sembrano essere più comprese e per questo sempre necessarie ai timpani; parole straniere e timpani stranieri affermo a me stesso; e l'affermazione si scontra con le donne che vedo gravide per amore o per timore coniugale, nei loro fantasiosi abiti che le ricoprono, come fantasmi colorano la piazza stolida, inamovibile, centro medioevale della mia città; il castello, la piazza i portici: quello lungo e quello del grano laggiù; il prete sul sagrato mi fa considerare che molti di loro sono anziani e vivono deambulando, straniti dalla vecchiezza ma soprattutto dalla città che non riconoscono; ricordo uno di loro che non vedo più, indossava una veste lunga sino ai piedi portava il cappello nero a falda larga manteneva nell''incedere un'antica consuetudine di reverenza; per paradosso mi vien da dire che non gli sia mai venuto in mente di annunciare l'apocalisse di san Giovanni, ma piuttosto abbia ordinato al cameriere un piatto di cappelletti col formaggio e un buon bicchiere di Lambrusco; non era ieratico, nè ascetico eppure la sua figura mi piaceva: l'amavo per la semplicità mortale della sua devozione; esile è la donna da marito, che passa davanti al prete che osservo sul sagrato; nel suo fazzoletto dorato che le ricopre il capo, si muove agilmente nei calzoni gonfi e leggeri dai motivi fantasiosi, con lo zaino sulla schiena che con grazia si fa scivolare tra le mani avanti, si ferma, lo apre, dopo averlo rimestato all'interno come alla ricerca di fiabe orientali da scegliere, tenendolo in mano prosegue passeggiando; nella mia città non succederebbe ma il ragazzo con lo spry vedendola scriverebbe provocatoriamente sul muro - Glock - disegnando un revolver; in realtà il revolver compare sulla T-shirt che indossa una ragazzina con l'amica che passando digita la tastiera sull'I-Phone; la badante seduta sulla panchina non guarda il ragazzo nord africano con cui farà l'amore senza amore: la carne vuole la carne per poter immaginare la bellezza che le nutrirà la mente e non il cuore; il cane nero e bastardo abita qui vicino ed è libero di farsi i fatti suoi noncurante e ciondolando annusa le ruote delle vetture che sono in sosta; compare mi evita con saggezza e con oculatezza mi rivolge il muso superandomi di buona lena ed esperienza, andandosene sotto il portico s'infila tra le gambe delle sedie del bar; attraverso i vetri sporchi molti sono i negozi in affitto che mostrano l'ossatura del loro ambiente svuotato; qualche anziano col cappello chiacchiera con lo sguardo da mediatore sulle vicende che gli vanno raccontando: il mestiere che ha fatto nella vita;  la super gnocca sceglie il palcoscenico delle ore 18 sotto il portico per mostrare a tutti l'indifferenza con cui gestisce il culo e le tette;  ragazzi di una volta scelgono lo stesso orario per mostrare i muscoli scolpiti su espressioni un po' avvizzite ma ancora giovanili; mi fermo e prendo un caffè scecherato non al solito bar ma a quello dallo stile anni 70 che in un lampo mi spedisce in un viaggio nel tempo remoto in cui non ero uomo: l'ultimo film che vidi al cinema Modernissimo sotto il portico s'intitolava - la rosa purpurea del Cairo - la ragazza con cui ci andai era assorbita dalla trama del film e si sentiva toccare nelle intimità mentre le baciavo i seni, il collo; si gira e mi fa "...e fammi vedere il film...dai...ci baciamo dopo...!?..."; il caffè Milano a fianco dove giocavo al primo video game aveva i barman di mezz'età; i piccioni sul sagrato del Duomo sbucavano svolazzando sulle cappotte delle vetture parchegiate in piazza; decollavano a stormi d'estate cercando l'ombra degli antri della facciata del Duomo; d'inverno uscivano dalle nebbie ad ali aperte planando sull'umido del porfido; la città ferveva di modernità che respirava rimanendo salda al passato nella propria identità di luogo; in centro il caffè non c'è più, nemmeno il cinema sotto il portico, altri due cinema di allora nel corso degli anni sono scomparsi, uno proiettava film a luci rosse: il cinema Fanti; l'ultimo a chiudere il Supercinema70 aveva tentato di stare al passo con i tempi offrendo due sale di proiezione; i piccioni davano fastidio e sono scomparsi quasi del tutto da quando li hanno sterilizzati; l'albero enorme che svettava di fianco al Duomo l'hanno tolto; quelli davanti al castello idem; i cedri del Libano che svettavano nel piazzale Re Astolfo, tolti anche quelli; un amico recentemente mi disse che la prima volta che vide cambiare la città fu quando nelle sue campagne un lavoratore piegato a terra per raccogliere i pomodori lo vide essere di colore; non so quando fu per me; graduale forse: me ne accorsi quando vidi sul viale il primo parcometro e le strisce blu; che per associazione di idee, mi rimandano al parco pubblico che tutta la cittadinanza desidera: non i politici; più lontano nel tempo agli orinatoi pubblici che molti anni prima avevavo demolito di fianco al palazzo del comune; a quelli sotterranei del castello sotto la torre degli Spagnoli chiusi da un trentennio; al traffico di veicoli a motore aumentato a dismisura e al consumo della vita libera, di non essere più a dimensione d'uomo, tantomeno a dimensione dei bambini tutti reclusi da qualche parte o seguiti dai body guard dei genitori; non liberi all'aria aperta, non allietano più come un tempo la vita degli adulti stemperandola di paure, rafforzandola nel coraggio e nel futuro: d'estate; e d'inverno la città va in letargo tra pioggie Novembrine, nevi Dicembrine che scendono, nel centro dalla muratura medioevale rivestita dal tempo, per quei pochi uomini e donne che tra le vie, in piazza, sotto i portici, nei bar, ci lavorano o abbiano una commissione da fare; pensando a questo, appoggio il bicchiere vuoto sul banco e me ne vado dal bar e dai ricordi di quegli anni e di quelli  della vita odierna, normalmente acquisita; imbocco la via per poi svoltare lateralmente ai giardini del teatro, cammino lesto sino alla viuzza di santa Maria in castello, raggiungo il parcheggio sul viale. Accendo la vettura.                          

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