domenica 19 maggio 2013

quattro

Tolgo i ciuffi d'erba tra una pietra di porfido l'altra davanti al condominio. Zitto e chino, nel flusso di pensieri ora astratti ora consueti con un coltello da caccia preso utilizzato una volta, poi messo lì a terra: inutile; uso le mani per strappare i ciuffi d'erba. Nubi imperiose mi sovrastano, alzo la testa, vedo il vento che muove ciò che soffia, lo fa ruzzolare, lo gonfia: lo sospinge di continuo. Taglio la siepe non recido le rose: semplici. Non conosco il nome; con quei pochi petali rossi sembrano papaveri; sbucano in due tre punti dalla siepe. Rosse di varie grandezze, esilità, vicino al rosmarino. Taglio un po' di siepe, ascolto il vento, gli abiti mossi, i capelli in disordine, il calore del sole sul collo. La riordino, raccolgo le foglie, l'erba: il sale l'ho disseminato tra le fughe delle pietre ho versato dell'acqua per via che il sale filtri in profondità bruci le radici. Non ho finito. Mi è rimasto da tagliare il pezzo di siepe dietro il condominio. Quel pezzo rigoglioso che vedo al mattino appena sveglio e ammiro dalla finestra. Ad un certo punto del lavoro, dopo due ore e mezza, mi volto, vedo il rastrello, la porta del garage aperta, le cose che utilizzo sparse un po' ovunque: e non è per questo, ma sento che ne ho a sufficienza. Mi guardo le mani sporche di terra come fossi un contadino. Con forza calco erba foglie in alcune sportine, raccolto le mie cose, chiudo il garage. Salgo in casa e penso di lavarmi le mani per togliermi lo sporco dalle unghie.

Nessun commento:

Posta un commento