mercoledì 15 gennaio 2014

duecentotrentacinque

 
- la partita di calcio -
 
Fu detto che quella domenica scorresse per lui normalmente. Si alzò tardi. Pranzò. Indossò il paltò, il cappello, e usci dalla porta di casa. Aprì l'ombrello per quella fastidiosa pioggerellina invernale che scendeva fitta, inconsistente: si avviò. Verso lo stadio a piedi. La squadra era stata costruita per vincere, e lo scontro con la squadra ospite era importante. Pagò l'entrata e prese posto in curva come sempre. Lì in angolo, dove la seduta di cemento termina e la rete metallica, chiude. Con l'ombrello aperto; in quell'angolo dove il vento soffiava giù per il corpo se non alzavi il bavero del paltò, vide la sfida. Seduto e fermo. La partita terminò, e la folla si indirizzò verso l'uscita. Egli aspettò, che la ressa si smagrisse, per uscire, rimanendo seduto sotto quella pioggerillina che non aveva dato tregua per tutto il pomeriggio, ora tramontato. La croce rossa entrò spedita allo stadio, rallentando in curva e accelerando verso gli spogliatoi dove la rampa delle scale sale in curva. Gli infermieri corsero salendo rapidamente e una volta svoltato l'angolo videro l'uomo rigido, seduto con l'ombrello aperto, immobile col viso rivolto al campo: gli occhi vitrei. Gli si avvicinarono. Si disse che fu infarto fulminante; nessuno se ne accorse. Nessuno vide la morte nera in volo; virare col pastrano di bitume e scendere con la falce sradicandogli il cuore e portarlo alla bocca volando via. Lasciandolo lì rigido davati alla rete metallica, mentre in campo la partita continuava.   

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