domenica 19 gennaio 2014

duecentoquarantaquattro

 - una giornata ordinaria di festa con Wharol e Pollock -

...il cruscotto nero in plastica. L'utostrada illuminata dalla giornata. Il volante stretto dalla mia mano. Il parabrezza. Dietro cui guardo il mondo. In silenzio mentre guido assorto nei miei pensieri, col rumore sottile e frenetico di sottofondo del motore lanciato a 100 chilometri orari. Non ho fretta di arrivare. Le vetture mi superano in corsia di sorpasso. E nel farlo: mi vedono  nella corsia di mezzo a velocità di crociera. Li guardo. Superarmi. Lanciarmi un'occhiata breve. Accendo la radio; il segnale è disturbato: la spengo. Mi riconcentro sulla strada e sui miei pensieri; ri-osservando il frenetico circolare dei camion sulla corsia di destra; alcune vetture distanti e molte altre che veloci transitano sulla corsia di sorpasso.  C'è un autogrill a cui non mi fermo; guardo la campagna per lungo tempo distraendomi dalla guida. Giungo alla barriera del pedaggio. Cerco il pittogramma con l'omino che consegna il danaro. Mi metto in fila assieme ad altre file parallelle con altri automobilisti che nei loro abitacoli: chi è in ascolto del programma alla radio, chi è al telefono cellulare, chi abbassa il parasole usando lo specchietto per rifarsi il trucco, chi cerca la moneta, chi da un bacio casto a chi si fa baciare tutto infagottato sul seggiolino. Pago il pedaggio, consegnando ad una mano che si avvicina al finestrino, il danaro che mi indica il display. Entro in tangenziale alla periferia della città. Mi ci vogliono altri tre quarti d'ora di strada per vedere le possibili uscite per il centro. Tutte intasate di veicoli in coda, che supero cercando l'uscita più conveniente e agevole. La trovo dopo una curva, superando la fila di vetture in coda, immettendomi e percorrendo la corsia di emergenza per qualche chilometro. La periferia della città dà un senso di caligine e di smog ed è animata da una miriade di finestre di case popolari, e dal disordine urbano; da cose inutilizzate: abbandonate, dai tram che arrivano in lontananza e le persone sotto la pensilina che lo attendono; dal maccanico in tuta e cuffia in lana che guarda dentro il cofano alzato, e la signora che un po' più distante gli parla del problema; di semafori che lampeggiano in angoli puliti e dedicati a qualche monumento dal nome dimenticato, mentre una ragazza giovane aspetta qualcuno che la deve venire a prendere; una vettura svolta a sinistra percorrendo il ponte del naviglio; una coppia giovane passeggia sul marciapiede col passeggino fermandosi all'incrocio, davanti le strisce pedonali. Svolto. Seguendo il cartello che indica il centro.Il cartello indicava il centro, ma arrivarci è difficoltoso. Sensi unici; corsia per il taxi; vietato svoltare di qua; vietato di là; provo a parcheggiare davanti ad un negozio: non ci sto. Entro in un parcheggio sotterraneo. Guardo l'ora: le 12. M'incammino a piedi in una baraonda di persone che fanno acquisti, che consumano al bar, che guardano vetrine, che salgono e scendono dal filobus,. Passo davanti al palazzo della camera del lavoro stile ventennio; edificato nel 1923 come dice la targa che leggo; più avanti sulla sinistra il palazzo di giustizia, possente e solido, con la scritta giustizia in lettere romane - givustizia - e la foto enorme del magistrato Borsellino. Di fronte; due edicole munite di ruote con vetrina piene di libri in vendita. Mi fermo. Sento l'edicolante che nel discutere con un cliente gli fa <<...ma chi legge ormai ? oggi non legge più nessuno...! >> Sfoglio un libro di spiritismo, e uno di parapsicologia. Vedo una chiesetta poco distante decentarta dal traffico in un vecchio angolo della città. Mi c'infilo. Leggo il nome - S. Pietro delle Gessate - Il sacerdote legge un passo del vangelo. I fedeli sono pochi, eleganti, compunti, nei loro abiti invernali. Esco e da lontano vedo le guglie del duomo. Entro in un bar per mangiare qualcosa. Guardo l'ora: le 13. L'appuntamento è per le 14, 30. La mostra a palazzo Reale apre a quell'ora...             

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