mercoledì 16 ottobre 2013

centotrentotto

Fummo inavvertitamente attratti, da un distratto e formale eloquio. Dove nulla emerse, né affogò in quella circostanza. Le ridiedi il bulbo vitreo, con un truciolo di fulminea resistenza dentro, e sul nugolo del palmo glielo porsi. E quelle cuciture che le rivestivano la mano, l'afferrarono. Poi. La costrinsi a porgere il braccio teso, e la vidi col braccio teso colmare tra noi lentamente le distanze, e come incredulo, di quella disponibilità che colsi; essa, mi comprese, e se in un attimo mi lesse, impresse un silente assenso a sé, a quel colmare le distanze tra noi attendendo col bulbo vitreo; tenendolo sul guanto con fermezza mi osservava ripensando, a quel gesto tra noi compiuto,  che colmava la distanza. Ignoti entrambi per noi stessi, in quel relazionarci nella disputa degli occhi solamente, che in lei trasparivano col riverbero sul volto; e il cielo stava alle sue spalle terso. E mi osservava, e nel riporgerle quel bulbo vitreo cambiò nel silenzio il suo registro. L'atto si espresse in una svolta sulla donna dai toni perentori e l'umore duro, le si sciolse in melodia attenuandosi, nel convincermi. Che non vi era altro che una disponibilità breve e casta che faceva breccia in lei, che io non compresi del tutto: e mi soffermai. E se qualcosa significasse, o per inespressa gioia di essa, vidi ella, fosse stimolata dal mio disinteressato fervere, e profondamente colse la mia vita, certamente essa credette di avvertirlo, e in quell'atto me lo espresse senza dire di eclatante alcunché. Solo un gesto non compiuto, non ancora, e tra noi, vi erano più parole, che esperienza convissute, ignari e umani noi mai visti e mai conosciuti, solo un gesto e mi esortò a riporgerle il bulbo vitreo sul palmo della mano che col braccio teso mi porgeva e si voltò con quel bulbo vitreo che le avevo ridato, riafferrandolo. E la guardai decisa andarsene sui suoi passi vedendola sorridere di me, in un qualcosa che evidentemente la divertiva; forse nella diversità fraterna, oppure soggiogata da una verità minuscola, ora risvegliata, o dall'uguaglianza degli uguali in quella giovinezza tra le quinte, che ancora non svanisce sul crepitio d'un beffardo incavo in volto, comunque lei sostenne a sé, che in quel sorriso che ci fu tra noi, l'uguaglianza si mostrasse sebbene fosse agli antipodi. E sentenziai tra me. Ah queste donne dell'alta società, che nel riordinare le emozioni si confondono, tarando la pietà, ritrovandola in un cruccio di sensualità, e che non sia sensualità; e ognuna lo intima a se stessa dicendosi <<...non supererò quella soglia...! >> E si voltò e non mi guardò. E se ne andò, senza un saluto, così come era venuta.             

Nessun commento:

Posta un commento