domenica 6 aprile 2014

duecentonovanta

Sono ciò che sono; per quanto ne sappia l'umiltà è la regola aurea per chi abbia fede; mi acciglio all'idea di non esserlo mai a sufficienza; tanto da temere di offendere chi, di volta in volta mi si pone di fronte, possa essere recepita superbia attraverso parole dette da me con partecipazione senza filtri; lo temo, poichè senza filtri la sincerità simile alla verità non valuta l'equilibrio di sè che si manifesta necessaria, rendendomi contraria alla persona per mia personale volontà, umiltà viceversa votata alla mitezza, risposta alla fede, mancanza di filtri convenzionali nel corpo di parole dal fluire perentorio; che mi significano per chi ascolta, probabile superbia; da cui voglio spogliarmi rimanendo nell'unica volontà che riconosco, la volontà di Dio in pace, non nell'inquietudine. Inoltre credo di notare in queste dinamiche che mi trapassano, un assunto spirituale che recita per l'uomo comune la possibilità del soccombere alla giustizia d'ordine superiore, dove la stessa persona in un ragionamento dagli spunti razionali dell'esistenza, se orientati su di sè, vi si possa riconoscere, trovandoli mistici si ma plausibili; viceversa di natura irrazionali come il destino stabilisce, per chi non avesse fede, in  questo astratto movimento di colpe e intenzioni che altrimenti ci soverchia tumultuoso e senza senso. 

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