venerdì 20 dicembre 2013

duecentoventinove

 - a Joe -

... no, non c'ero; non amo l'ufficialità, non sopporto il dolore: lo avverso. E non amo manifestare in pubblico la mia presenza ad un lutto. In queste occasioni risulto essere di quella ieratica compostezza che detesto. Non amo la folla mortificata, che non sa darsi una spiegazione; e nel farlo piange e si commuove. Mi pare che il falso di ognuno di noi, trapeli in queste occasioni lindo e casto sotto forma di male, non indignando affatto. Ho avuto un moto di ripulsa alla notizia della tua morte. Non ne sapevo nulla; tantomeno delle tue vicende. Ci eravamo incrociati sotto il portico qualche tempo prima, e come al solito mi avevi sorriso, come quando si sorride ad un simpatico folle, aspettando la battuta rapida, o una gag, e invece no. Niente di tutto questo successe. Ci incrociammo. E sentii tutta l'eleganza della tua mano in quella stretta che ci demmo; da persona colta e timida, nelle dita fragili; di pelle lieve e nuova; e continuavi a sorridermi attendendoti quelle battute che non giungevano. Avrei dovuto sforzarmi, o forse raccontarti qualche storia che mi riguardava, e farci una risata insieme liberatoria, come a esorcizzare il tutto. Non lo feci. Perchè pensai che in quel momento eravamo distanti, e non so perchè lo pensai. Forse eravamo semplicemente distanti, come la vita aveva deciso; o forse era un momento per me di malumore; e ci saremmo rivisti di nuovo e tutto sarebbe andato per il verso giusto come spesso accade. Per chi vive. Senza pensare che per vedersi e parlarsi, vivi o morti, bisogna essere nella stessa condizione. Siamo stati amici, forse non lo eravamo più. Poco importa. Ti invio il mio pensiero. Il mio spirito vale più del mio corpo, e della mia presenza che quel giorno non avvenne...      

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