lunedì 22 luglio 2013

sessanta

Erano le sei meno un quarto, di questa giornata afosa transitavo in bicicletta in centro. Vidi la ragazza venirmi incontro in bicicletta, si spazzolava i capelli biondi come una giovanissima e indifferente dea, quando mi superò. Fu allora che vidi la donna anziana, non troppo vestita, indossava uno di quegli abiti stampati floreali nero su perla, che pesano nulla, mentre si rinfrescava; sulla panchina seduta si sollevava la gonna agitandola mostrava le gambe nude attenta al pudore, trattenere con la mano la stoffa celando le intimità, dietro gli occhiali da sole mi vide passare, le osservai la fronte imperlata di sudore le guance leggermente arrossate. L'uomo di colore dagli occhi giovani e scaltri mi ringraziò per le monete che gli diedi mentre entravo al supermercato. La donna che parlava quella lingua che non capivo credetti d'intuire si esprimesse in moldavo, con quell'altro che pareva il fratello, stavano di fronte l'uno all'altro mentre li ascoltavo stando in fila alla cassa. La donna di colore seduta, con altri due uomini di colore sull'erba del parco, si mostrava loquace al telefono, era veramente scura da ricordare il Botswana. Quando questo apparve: la ragazza con la spazzola, la donna anziana con la gonna, l'uomo di colore davanti al supermercato, la ragazza moldava suo fratello, la donna di colore i suoi due amici, a quel punto, esattamente a quel punto non successe nulla: assolutamente nulla. Tranne vivere; intensamente l'afa, il caldo, sugli alberi il frinire di cicale mi riempivano i timpani, col loro leit motiv secco percussivo nell'aria asciutta di sole che andava illuminando il pomeriggio, della città. Posai la bicicletta. Entrai in un bar con l'aria condizionata accesa, ordinai un caffè freddo.     

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