lunedì 23 maggio 2016

quattrocentosessantasei

Peyote :)

Virgilio veste l'arancio Hare Krishna, conserva la chiave 38 wanadium d'argento vivo in tasca rimane seduto al tavolino del bar Roma mi guarda cita Plutarco << gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole d'accendere >>. Il transessuale con la gonna in pizzo infila il piccolo rabbino nella valigia di dollari, da cameriere avanza col vassoio in mano, su cui la foto ritrae il poster murale del concerto dei Kraftwerk negli anni 80, ci serve due pinte birra. Il colpo d'occhio, alla Cattedrale dell'Assunta bendata, brilla mentre cammino sul sentiero scheletro del peschereccio spiaggiato davanti teatro. Virgilio dal portico del grano, col mazzo di chiavi da meccanico in mano, mi fa cenno che per cambiare le candele di accensione ci vuole quella a tubo. Apro il cassetto nascondo il romanzo. Penso in francese, mi stupisco di essere un convinto indemoniato non indosso i jeans vesto il gabardin, fare a bastonate non mi pare ridicolo. Virgilio si riavvicina. La piazza illuminata a giorno dai fari dello stadio durante la partita serale, ci vede superare la contesa sul trattore, attacco l'aratro bivomere sfiliamo triangolo sul cross il goal di testa. Non dimentico mai di sorridere se porto la maglia numero 8, richiama l'infinita potenza di Dio. Parcheggiamo a pettine su via Carducci, l'aratro sporge, speriamo di non essere in multa. Saliamo per Santa Maria in Castello portiamo la sporta della spesa che vuota simula chi parla Italiano non ride dei nostri costumi nè sulla terra nè sul mare. Sentiamo imprecare dai giardini della questura, il matto del paese sostiene davanti alle autorità di aver incontrato a cavallo d'un somaro a mezzogiorno tra via Guastalla via Bruno Losi, Gesù bloccato nel traffico che grida in Aramaico al cielo << Eloi, Eloi, lama sabactani ( Padre, Padre, perchè mi hai abbandonato ? ) >> Raggiunta la Sagra mi congratulo, l'amico porta all'altare la bambola gonfiabile col seno in poliuretano espanso, bacio la sacerdotessa protestante di cui sono da sempre innamorato. Proseguiamo Virgilio si sveste rapidamente indossa gli slip in carta stagnola con cui mantiene la propria virilità, entriamo in piazza, acquisto Paese Sera all'edicola presso la sinagoga, la Madonna di Loreto mi arrotola il quotidiano con l'elastico. Controllo la torre dell'orologio le lancette si trasformano nel viso di Martin Luther King in sovraimpressione la t-shirt dentro la quale la tartaruga plana nell'acqua limpida di Casa Pound ricorda il bambino in copertina del long playng dei Nirvana, Nevermind. Mi palpo il viso, lo sento in porcellana orientale, so di avere denti d'oro, rapper della scena di New York, la testa una palla in vetro da cui traspaiono due bulbi verdi su cui una margherita tenue si mostra fiore. Non canto semplicemente fumo marijuana provo il mixer in sala di studio di Wiz Khalifa, la risata che mi seppellisce mi sveglia beone sul divano col sorriso un po' intontito e un cerchio alla testa. Il vestito di Virgilio non lo sopporto. Ho sempre odiato l'arancio, ricorda il frutto che ti consegnano in carcere quando sconti la pena. Mi alzo vado in bagno a sciacquarmi il viso.                         

mercoledì 18 maggio 2016

quattrocentosessantacinque

L.S.D :)

Dal firmamento scese l'angelo giudicai fosse in sella al vento trasportava una lapide con l'epitaffio, immediatamente ammorbò l'aria di letame ricoprì la testa di umiltà ciascuno. Nel sogno mi dico << son desto ? >> penso a questa immagine onirica d'angelo che scende dal cielo: qualche ritocco potrei usarla come conclusione di una poesia. Compare Virgilio l'amico con cui lavoravo in metalmeccanica c'incamminiamo in una città che non riconosco. Una piazza oscura dei contadini arricchiti seduti a tavolino conversano del nulla ai margini del mercato, la zaffata di letame ricopre il disco del sole. La nobiltà ci sfiora quando ci prendiamo per mano come fratelli. Vediamo nella penombra le anime da cortile si auto strombazzano avanzando, vedono l'angelo volare con epica sicumera, pettoruti aristocratici da pollaio si mettono a testa in su; si solleva una voce dice <<  se mi porta il libretto di lavoro lo assumo >> un'altra risponde << gli angeli costano >> << col Jobs Act, viene >>; vedo via Berengario / Guido Fassi la centralina rumorosa nel parchetto davanti S.Nicolò extracomunitari che dormono, bottiglie di birra in terra, uno orina dietro l'alberello; il corteo di ragazzi giovani sale da via dei Cipressi manifesta sventolando cartelli con scritto - Viviamo In Una Città Di Vecchi Rimbambiti -. L'americano Cormac Mc Carthy autore del romanzo dal titolo - Non è un paese per vecchi - mi dice che il suo paese è come il titolo del suo romanzo: gli rispondo invece che nel mio ci sono solo dei vecchi rimbambiti, i ragazzi se manifestano hanno le loro ragioni. Virgilio si affianca illuminando con la torcia una parte del castello << questa è la torre degli Spagnoli >> mi dice, indirizzando il fascio di luce più distante, faro sulla prua di un peschereccio, continua << quella è la torre dell'Uccelliera >>. Immediatamente viene il giorno, i piccioni dorati sul sagrato del duomo si alzano in volo il sacerdote con le braccia alzate verso Dio implora risposta << Altissimo: se i piccioni sono dorati, perchè il guano corrode comunque ? >> Pulcinella dall'angolo di piazzale Re Astolfo sussurrandomi all'orecchio mi dice << gli uomini non bisogna lasciarli senza sogni o ti tradiscono >>. Ed è mattina la fornaia del negozio ha il fondo schiena che fa sognare tutti i pensionati prima di morire col baulino la michetta comune nel sacchetto; Virgilio fuma, vedo davanti il bar Milano, alcune ragazze simili a ministre del governo in carica, protestano in circolo col doppio cartello, davanti / dietro, sui quali c'è scritto - Si prega di toccare le signorine solo dopo aver pagato la marchetta - Virgilio spegne la sigaretta guardandomi col fare di chi la sa lunga sulle donne ribadisce << se sbagliano queste, sbaglia tutta la melonaia >> compare un pinguino: lo saluto come si saluta una bestia, Virgilio mi fa notare che è il primo ministro in carica, mi correggo lo saluto col braccio teso, Virgilio mi dice che è di sinistra, mi s'incaglia il saluto come se avessi il braccio ingessato del personaggio di Achille Campanile quando il 25 aprile durante i festeggiamenti gli s'incaglia nel saluto fascista, gli dico << ministro se mi vuole arrestare sappia che deve arrestare tutta Italia >> dopo il Palamaio passando per via Lugli vicino le case del Duce, sul cofano della Prinz Nsu il gatto Napoleone padre di tutti i gatti del quartiere dorme acciambellato, il macellaio quando esce dal negozio gli dice << màsòcla, tè sè ti fortunè >> ( testa grossa, te si che sei fortunato ) sul muro di via Bellentanina due maniaci sessuali scrivono - w la gnoc..- e fuggono all'arrivo dei carabinieri; la moltitudine radunata in via De Amicis piazzale della Posta, truccata dal cast del film Zombie, col proprio cervello in mano deambula al buio come gli inquirenti di fronte ad un caso irrisolvibile; Virgilio mi fa un indovinello << dove siamo ? >> bo ?! << siamo a Carpi la tua città >> !? << perchè mia ? m'an fatto sindaco ? >> << ma va a caghèr semo !? >> mentre ridiamo mi viene alla mente che è gemellata con Wernigerode: penso alla crisi morale. Un conto è essere gemellato con una città della Sassonia Anhalt un conto con Gerusalemme. Che Dio ci benedica se non siamo profeti del nostro tempo. Al suono della pernacchia di Totò rivolto a chi tenta di fargli intendere un pensiero debole: mi sveglio apro gli occhi.                      

domenica 15 maggio 2016

quattrocentosessantaquattro

 - L'enigma della riconoscenza-

Quando penso che la morte mi appare di maggior rilievo rispetto la vita attendo che l'anima si rattristi rabbuiandosi nel pensiero; viceversa, mi compare nel sollievo un lucore impercettibile come se avessi districato involontariamente un enigma mi sento felice, sebbene non abbia ricevuto risposta a nessuna domanda filosofica riposta nella domanda; mi accentro nell'esperienza in cui il sentimento è capacità d'autoalimentarsi eternamente indipendentemente da dove si trova, mi riproduce Dio sentimento, da cui procedo ad essere umano nello spirito, figlio di Dio.      

lunedì 2 maggio 2016

quattrocentosessantatre


 - Erol Flyn -

Esco per l'apericena, una birra a doppio malto gli stuzzichini sul buffet poca gente la sera è uggiosa l'inverno non ci molla nella temperatura fresca nei colori cupi. Sgranocchio gli stuzzichini sedendomi rialzandomi dallo sgabello dal bancone m'indirizzo all'angolo al buffet. La in fondo a tavolino seduto il ragazzo con l'impronta estetica del rapper metropolitano che ricorda l'attore Erol Flyn parla con una ragazza. Mi siedo col piattino degli stuzzichini mentre una seconda ragazza s'indirizza verso i due ragazzi seduti, mi passa a fianco, fa ticchettare rumorosamente i tacchi a spillo sotto la sua figura che incede in modo giunonico, ambrata ha capelli sciolti lisci e lunghi. Porta gli occhiali che intravedo da dietro, ha il fondo schiena che tradizionalmente da soddisfazione a uomini di altri tempi i seni altrettanto. Arriva la in fondo, si siede col rapper Erol Flyn dei poveri la ragazza seduta le sorride si interrompe di chiacchierare col rapper, guarda lontano senza vedermi, mi ricorda una sguattera rozza, è una maldicenza ingiusta che provo e svanisce immediatamente; ho ragione per come la ragazza si dimostrerà educata attraverso un semplice saluto di buona sera nel momento che se ne andrà. Erol Flyn dei poveri si alza gongola nei jeans col cavallo basso mostra le mutande rigate come la bandiera di una squadra di calcio di serie B del sud, un giubbotto di pelle che non si fa ricordare. Si avvicicna alla cassa, mi da un'occhiata a dire ( << non ti ho mai visto chi sei ? >> ) io lo squadro faccio finta di niente penso ( <<  ...zzo c'hai da guardarmi ? >> ) sorseggio la birra, Erol Flyn di profilo borbotta col barista cinese. Il quale si sposta di qualche metro, apre il frigo di bottiglie ne estrae una con la brina fine del ghiaccio, la alza, gliela mostra, gliela indica. Erol Flyn squote il capo da gangster al bancone di un film a New York negli anni trenta, fa cenno si. Guardo l'etichetta della bottiglia e riconosco le lettere dorate Moet. Penso ( << fa il brillante, compra Moet Chandon >> ) Il barista va per incartargliela; col cenno della mano tra cultura da strada e nobiltà dice << fa lo stesso >>  il barista non lo sente; lo guardo e sente lo stress da palcoscenico, recita di nuovo  ( << lascia stare la porto via com'è  >> ). Visto che recita la parte del personaggio affascinante e la serata se la spasserà ad alcool, figa e un'orgia; inghiotto il tramezzino con l'espressione di chi si impressiona per l'invidia così gli do soddisfazione. A quel punto con modestia sfodero una serie di espressioni d'invidia sfortuna a suo beneficio, guardo le ragazze, di cui francamente non me ne frega un bel nulla, da uomo sfortunato; Erol Flyn si gonfia come un pavone, la bottiglia non sa dove metterla, prova a farla stare in tasca ma non insiste, la tiene in bella mostra mentre va al tavolo delle ragazze, le quali lo guardano sbigottite, borbottano qualcosa si alzano, una va per pagare, Erol Flyn la guarda con occhi da chi sapeva e sa come si trattano le femmine ha già provveduto sorride mentre smette i panni di Erol Flyn, dice labiale alla Cary Grant << ho già pagato ! >> contemporaneamente mi guarda; so che mi vede mi trasformo in nano sfigatissimo sullo sgabello. Ex Erol Flyn ora Cary Grant esce dal bar a testa alta da tombeur de femme, due zoccole lo seguono e parlottano da galline da pollaio, tiene la bottiglia di Champagne in mano felice come una Pasqua.
    

domenica 24 aprile 2016

quattrocentosessantadue


- Il condominio dei cuori infranti -

Mi fermo al bar nonostante il film sia gia iniziato. Il caffè al bar circolo dei Ferrovieri di fianco al cinema è delizioso. La prima volta che vi entrai ebbi un tumulto dopo aver superato la porta vetro, trasognato entrai negli anni 80. Un incantesimo in cui sentii di amare chiunque mi fosse passato davanti gli occhi; sorbivo il caffè denso fatto con cura dal ragazzo barista il quale, accortosi che il liquido che scendeva nella tazzina non era come avrebbe desiderato, senza mostrarsi a me che vedevo, lo gettò via servendomene uno come Dio comanda. Lo bevevo gustandone il sapore mentre l'umanità del circolo in cui mi trovavo viveva: chi con le carte da gioco in mano o sparse sul tavolo da gioco, chi le mescolava poi le distribuiva, la donna matura fiera di ricchezze Vuitton chiedeva il conto alla cassa, di la dal vetro si muoveva curato dal barbiere il capo di alcune persone sedute alla mensa cenavano discutendo; nell'angolo il video game illuminato coperto parzialmente dal giocatore; bancone semiluna metallo qualche rifinitura colorata stavo, da cui vedevo chi lavora presumibilmente muore senza nessun pentimento, angoscia, colpa, Dio, fede, tutte cose che servono per quelli come me forse, ma non per tutti se a volte hai la fortuna della semplicità dell'ottimismo religioso in nuce, regoli la vita, che da sempre ci identifica uomini rispetto alla bestialità alla disconoscenza nostri simili in cui deambuliamo. E nell'ipnosi ringraziai Dio / per avermi edificato in chi vedevo stessa sostanza, verbo / avrei amato chiunque da qui all'eternità /. Uscii dal bar mi ritrovai la sera; gli anni 80 svanivano con le conquiste sociali, ricomparse il quarto mondo con le sue sconfitte immanenti, la sua emancipazione buffa a neurone unico, spinsi la porta entrai al cinema. Inizialmente la sera l'avevo programmata per vedere un altro film, in un altro cinema. Entrato in città, traffico e tempo mi avevano condizionato. Ero al solito cinema senza sapere in realtà cosa avrei visto. Sedendomi a film iniziato, la ragazza seduta poco avanti, di fianco a quella che pare essere sua madre, mi guarda per una frazione di secondo; le vedo il volto giovane curioso di amore e civetteria antropologica. Potrei essere giovane, ma non lo sono. La cinepresa inquadra lo stabile ordinatamente grigio con parabole bianche al balcone come si vedono in condominii dove vivono extracomunitari, qualche lenzuolo ad asciugare nel grigio della giornata, finestre allineate senza scuri. Una banlieu di Parigi pennellata da immagini che rendono alcune scene dal sapore surreale appena accennato, il degrado dovuto non alla cattiva integrazione, alla povertà materiale; nonostante la modestia tutto pare essere ordinato e scabro di miseria nelle relazioni. Il punto centrale. Nel condominio Isabelle Huppert è un'attrice di mezz'età con l'appartamento di cose ancora imballate dal trasloco, apatica, indisposta, un briciolo altezzosa per status. Incontra un giovane ragazzo, coinquilino, la coinvolge a recitare copioni cinematrografici esce dalla delusione che la pervade. L'inquilina Hamid apre la porta si ritrova davanti un astronauta. Chiede se è testimone di Geova. Hamid stralunata sola accetta di aiutare l' astronauta atterrato con la navicella spaziale sul tetto del condominio sino al suo recupero. Al momento dell'atterraggio due ragazzi assistono muti per nulla interessati a quello che compare davanti i loro occhi incapaci di provare emozioni. L'astronauta per qualche giorno vive nel condominio nell'appartamento con Hamid viso di buon cuore, donna sola che sia avvia alla vecchiaia, ed è un momento surreale, in platea non sento ridere, rido ancor di più, penso che gli spettatori si aspettano di vedere uno di quei film con la morte in diretta ? poi qualcuno lo sento sghignazzare, altri paiono muti, mi chiedo se non siano al funerale della loro capacità cognitiva ?. La madre della ragazza infastidita mi sopporta ridere di gusto mi rimprovera con lo sguardo. Non sente le battute sucessive, che non ci sono. Si dimentica che non è a casa. Se non vuole sentirmi se ne va da un'altra parte. Il film continua ad essere surreale e piacevole ma non è sera per me di seguire il film ho smania che finisca come quando si desidera qualcosa che sia inaspettato, o solamente il sapere di essere libero di non dover niente a nessuno. Resisto a sedere sino alla fine e con piacere m'incollo alla sedia di legno come un ingenuo quando l'uomo in sedia a rotelle s'innamora della ragazza che fa i turni di notte all'ospedale riesce a conquistare il suo interesse, le fissa un appuntamento per la sera successiva. La quale si prospetta disastrosa per l'uomo, se rischia di non arrivare in tempo all'appuntamento. Si sbarazza della sedia a rotelle si alza ricordandomi le parole di Gesù quando dice << alzati e cammina >>. Dall'appartamento di periferia cammina barcolla sino all'ospedale per incontrarla. La scena non ricordo finale oppure no, li vede uno di fianco all'altro mentre si dicono le cose da innamorati che stringe il cuore. E penso: quando c'è amore c'è futuro.                                  

quattrocentosessant'uno


- Parco naturale  -

L'appuntamento della giornata fu col sole, discesi la strada salii la salita seguendone il percorso tra vegetazioni; sentii il color del mare cancellarmi scritte scure al cuore, la mente percepiva la natura: scioglievo enigmi, formulavo pensieri, coglievo morali, inventavo storie; le gambe mulinavano avanti, il respiro regolava i sensi, la terra mi vedeva, arata compariva al sole secco ocra; distante dal verde foglia delle vigne, distante da chiome alberate sul costone roccioso al mare; quel che rimaneva di me ciclista in salita e discesa, era fuso con l'abbraccio nello spirito a lume divino; le ruote su cui rotolavo erano divenute chiglia, le gambe elica, sentii le scapole due ali dorate; mi fecero pensare che l'avrei detto a qualcuno; da queste parti se voli in bici è Dio che parla attraverso miracoli incredibili.    

quattrocentosessanta

- Si -

Il voto del referendum non vale niente ma nutro il senso democratico del voto. Nella cabina elettorale leggo la formula del referendum la quale inizia come la formula del matrimonio con cui il sacerdote unisce in matrimonio gli sposi. Vuole lei abrogare ecc. mentre per il sacerdote è: vuole lei sposare il qui presente / la qui presente ecc. In ogni caso segno una X sul si, ripiego la scheda, la consegno alla signora con gli occhiali che ricorda una cuoca della mensa aziendale; di quelle che vedi mescolare il brodo nel pentolone, servire il piatto di fusilli panna e salmone da sopra la vetrinetta; col marito quando fa l'amore ingaggia una sorta di caccia all'uomo con rissa a pennellate ritmiche da rodeo poi il marito non più giovane col fiatone dà forfait, si addormentano. Le consegno la scheda ed esco guardo la scrutinatrice, anzi due, col viso universitario del Dams di Bologna, ma che poi hanno preferito la facoltà di fisica / matematica che ne so, la più timida arrossisce come donna giovane arrossisce a uomo, sulla via del molto maturo quasi vecchio non potrei pensare abbia scorto l'amore, l'avvenenza in me; è antropologico, di zona primitiva che le donne hanno fuori dal razionale, istintuale dove la carne è zona franca, profuma di post nucleare, estinzione, che è il rischio segnalato dal rossore sulle guance di consapevole necessità; non è altro che questo. Semplicemente. Donna, uomo, noi fottere, io incinta, no estinzione. Ragionamento primitivo, selvaggio, che conserva. Esco. Nel portico della suburra incrocio persone di colore mi dirigo al Ristobar: inforco gli occhiali alla ragazza orientale ordino una porzione di Sake Maki col salmone una di Tekka Maki col tonno una di Suzuki Maki col branzino una di Ikura con uova di salmone una birra Asahi. In televisione c'è una trasmissione che fa vedere le Candid camera. La ragazza parla un ottimo Italiano le faccio i complimenti per il cibo. Mi dirigo al cinema, il film che proiettano l'ho già visto, parlo con la maschera la quale mi spiega che il programma dei film è terminato e che la scelta sino all'inverno sarà dettata dalla casualità delle uscite, sorrido alla cassiera dal volto intelligente. L'aria della serata è decisamente calda la vita pare abbia più valore nelle cose che si decidono di fare, nel volto delle persone che incrocio c'è un'euforia di vitalità che mi spiazza a cui non sono abituato; osservo quei tre personaggi laggiù che si allontanano vestiti con costumi africani, mi ricordano Pulcinella Arlecchino un figurante al palio di Siena o in qualche altra festa, l'insegna luminosa del parcheggio interrato è spenta, le vetture parcheggiate nella via silenziosa che brulica di rinascita della natura nelle aiuole nelle siepi nei balconi sui davanzali, apro la portiera della vettura vedo se faccio in tempo ad andare in quell'altro cinema d'Essai, non so nemmeno che film proiettano, ma che importa. La città è un film io regista e prim'attore la scenegiatura tutta una improvvisazione alla The Factory di Andy Wharol.