domenica 24 aprile 2016

quattrocentosessantadue


- Il condominio dei cuori infranti -

Mi fermo al bar nonostante il film sia gia iniziato. Il caffè al bar circolo dei Ferrovieri di fianco al cinema è delizioso. La prima volta che vi entrai ebbi un tumulto dopo aver superato la porta vetro, trasognato entrai negli anni 80. Un incantesimo in cui sentii di amare chiunque mi fosse passato davanti gli occhi; sorbivo il caffè denso fatto con cura dal ragazzo barista il quale, accortosi che il liquido che scendeva nella tazzina non era come avrebbe desiderato, senza mostrarsi a me che vedevo, lo gettò via servendomene uno come Dio comanda. Lo bevevo gustandone il sapore mentre l'umanità del circolo in cui mi trovavo viveva: chi con le carte da gioco in mano o sparse sul tavolo da gioco, chi le mescolava poi le distribuiva, la donna matura fiera di ricchezze Vuitton chiedeva il conto alla cassa, di la dal vetro si muoveva curato dal barbiere il capo di alcune persone sedute alla mensa cenavano discutendo; nell'angolo il video game illuminato coperto parzialmente dal giocatore; bancone semiluna metallo qualche rifinitura colorata stavo, da cui vedevo chi lavora presumibilmente muore senza nessun pentimento, angoscia, colpa, Dio, fede, tutte cose che servono per quelli come me forse, ma non per tutti se a volte hai la fortuna della semplicità dell'ottimismo religioso in nuce, regoli la vita, che da sempre ci identifica uomini rispetto alla bestialità alla disconoscenza nostri simili in cui deambuliamo. E nell'ipnosi ringraziai Dio / per avermi edificato in chi vedevo stessa sostanza, verbo / avrei amato chiunque da qui all'eternità /. Uscii dal bar mi ritrovai la sera; gli anni 80 svanivano con le conquiste sociali, ricomparse il quarto mondo con le sue sconfitte immanenti, la sua emancipazione buffa a neurone unico, spinsi la porta entrai al cinema. Inizialmente la sera l'avevo programmata per vedere un altro film, in un altro cinema. Entrato in città, traffico e tempo mi avevano condizionato. Ero al solito cinema senza sapere in realtà cosa avrei visto. Sedendomi a film iniziato, la ragazza seduta poco avanti, di fianco a quella che pare essere sua madre, mi guarda per una frazione di secondo; le vedo il volto giovane curioso di amore e civetteria antropologica. Potrei essere giovane, ma non lo sono. La cinepresa inquadra lo stabile ordinatamente grigio con parabole bianche al balcone come si vedono in condominii dove vivono extracomunitari, qualche lenzuolo ad asciugare nel grigio della giornata, finestre allineate senza scuri. Una banlieu di Parigi pennellata da immagini che rendono alcune scene dal sapore surreale appena accennato, il degrado dovuto non alla cattiva integrazione, alla povertà materiale; nonostante la modestia tutto pare essere ordinato e scabro di miseria nelle relazioni. Il punto centrale. Nel condominio Isabelle Huppert è un'attrice di mezz'età con l'appartamento di cose ancora imballate dal trasloco, apatica, indisposta, un briciolo altezzosa per status. Incontra un giovane ragazzo, coinquilino, la coinvolge a recitare copioni cinematrografici esce dalla delusione che la pervade. L'inquilina Hamid apre la porta si ritrova davanti un astronauta. Chiede se è testimone di Geova. Hamid stralunata sola accetta di aiutare l' astronauta atterrato con la navicella spaziale sul tetto del condominio sino al suo recupero. Al momento dell'atterraggio due ragazzi assistono muti per nulla interessati a quello che compare davanti i loro occhi incapaci di provare emozioni. L'astronauta per qualche giorno vive nel condominio nell'appartamento con Hamid viso di buon cuore, donna sola che sia avvia alla vecchiaia, ed è un momento surreale, in platea non sento ridere, rido ancor di più, penso che gli spettatori si aspettano di vedere uno di quei film con la morte in diretta ? poi qualcuno lo sento sghignazzare, altri paiono muti, mi chiedo se non siano al funerale della loro capacità cognitiva ?. La madre della ragazza infastidita mi sopporta ridere di gusto mi rimprovera con lo sguardo. Non sente le battute sucessive, che non ci sono. Si dimentica che non è a casa. Se non vuole sentirmi se ne va da un'altra parte. Il film continua ad essere surreale e piacevole ma non è sera per me di seguire il film ho smania che finisca come quando si desidera qualcosa che sia inaspettato, o solamente il sapere di essere libero di non dover niente a nessuno. Resisto a sedere sino alla fine e con piacere m'incollo alla sedia di legno come un ingenuo quando l'uomo in sedia a rotelle s'innamora della ragazza che fa i turni di notte all'ospedale riesce a conquistare il suo interesse, le fissa un appuntamento per la sera successiva. La quale si prospetta disastrosa per l'uomo, se rischia di non arrivare in tempo all'appuntamento. Si sbarazza della sedia a rotelle si alza ricordandomi le parole di Gesù quando dice << alzati e cammina >>. Dall'appartamento di periferia cammina barcolla sino all'ospedale per incontrarla. La scena non ricordo finale oppure no, li vede uno di fianco all'altro mentre si dicono le cose da innamorati che stringe il cuore. E penso: quando c'è amore c'è futuro.                                  

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