sabato 27 febbraio 2016

quatrocentocinquantadue

 - Zoolander -

Tristemente fugace il tuo sguardo non lo riconobbi immediatamente, ponendolo nel mio lento vedere; mi vidi assorto nell'averlo scordato, lieve spinta diveniva vapore; ressi così il caso che ci aveva fatto rincontrare in un frammento; il nulla circoscritto per ciascuno, aveva la forma di cinta muraria; ma la rarità di ciò che vidi e provai, non si ripercosse la sera, sul film che avrei visto; pur pensandoti esperienza, mi tormentava sentire di averti amato, era lieve la morte non sepolta. Entrai al cinema e nella trama la follia dell'umanità vive, attraverso la moda, veicolo per togliere l'uomo dall'esperienza attraverso i propri modelli. Esperienza virtuale che annulla la coscienza. Il film regge l'esagerazione dei singoli personaggi, l'egotismo fine. Il linguaggio sopra le righe è parodia, la trama relegata a comparsa. Un personaggio usa il linguaggio concludendolo in disartria, riduce la comunicazione a inutile; la consenquenzialità del montaggio di cui faccio senza, non ha linearità che si propaga in lucidità; non vi è dialogo tra i personaggi espresso con pertinenza; una scena stucchevole dietro l'altra, allo stesso tempo, non vi è linguaggio più vero per esprimere la negazione della vita comune, attraverso lo sfarzo, il lusso, che riduce la vita a follia quando si consuma nell'ipnosi ardente del bruciare. Il film è girato a Roma; Roma caput mundi, come dire: la moda è centrale nella mente di tutti. Non solo; il luogo prestigioso simboleggia la forza del decadimento. Nella trama la relazione padre e figlio, è relazione bistrattata; svalutata dal fallimento di figure: madre, padre, matrimonio, rabbuia i sentimenti  delle generazioni sull'altare della modernità in nome del lusso, che ci priva di quello interiore. Justin Bieber, Sting, Penelope Cruz, Owen Wilson, Ben Stiller, Benedict Cumberbath, Demi Lovato, Kim Kardashian, Lenny Kravitz, sono superficiali; la comparsata dell'icona Keith Moss necessaria come nota stonata. Finita la proiezione esco e rifletto tentando di concludere il mio ragionamento in un sunto di ciò che ho capito: non siamo alla presenza della verità o della falsità siamo di fronte ad un terzo linguaggio umano, vivo di ricche miserie, dove si ostenta il vacuo, gli abiti indossati avvelenano l'uomo sin nelle profondità dell'immaginario, imbastiscono la creatività in stallo sul previsto esageratamente informe; rimodella costantemente le menti nuove e asciutte, semplifica la vita sulla frequenza standart del fruitore esule da se stesso e dagli altri. Il linguaggio usato riduce la filosofia del passato a nozioni fuori causa; l'esaltazione dell'ingegneria della superficialità è opulenta, assurge a profezia per qualsiasi ombra messianica del campionario da vendere. Il film non è altro che una estenuante sbavatura nei toni, la realtà fuori fase, la gioia dell'iper idiozia. Qualche giorno fa vidi una donna sul marciapiede dall'incedere deciso, solenne, indossava scarpe nere, calzoni neri con la piega, un poncho jaquard lana cappuccio in testa che la ricopriva, mi avvicino per vederla: il volto ha un accenno di barba. Guardo meglio è un uomo vestito da donna, cammina come una manquin sul marciapiede passerella, mentre il traffico si snoda. Mi auto-correggo. E' una uoma o un donno: come si preferisce. Se dicessi: << è una forma di vita unicellulare >> la mia amica Caterina Lisiex mi direbbe << come sei stvonzo ! >>. Il film surreale si trasferisce e transita nella normalità di un giorno qualunque, in una strada qualunque. Questo il punto. Non la degna diversità; bensi il linguaggio estroso, quando pretende la normalità mi rende sbigottito; come se la fusione di sacro e profano divenuti terzo linguaggio, siano vita all'interno del concetto di libertà: accettate normalmente. Normalità estrosa, che onestamente, filosoficamente non comprendo.  
 
 
  

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