E' legge fisica: ciò che è nella testa, può sempre essere scalzato dal cuore
sabato 19 novembre 2016
quattrocent'ottantanove
E' legge fisica: ciò che è nella testa, può sempre essere scalzato dal cuore
martedì 6 settembre 2016
quattrocent'ottantasette
- Un luogo da hippy -
Scendo la strada si apre la baia vicino ad un piccolo promontorio: arroccata come una conchiglia fusa alla roccia, la cittadina. Il mare pieno di kitesurfing trainati col filo dagli aquiloni in cielo; sulla spiaggia la gente indossa la tuta da sub prende la tintarella, un tipo conficca nella sabbia l'ombrellone lo apre, si lega la corda alla caviglia - recupera surf - lo spinge in mare gli alza la vela, il figlioletto guarda la manovra, il cane scodinzola annusa qui e di là scompare tra le biciclette, chi con la vela su un tavolo improvvisato armeggia con le chiavi da lavoro, chi cerca un attrezzo nel baule del camper. Parcheggio a pochi metri dal mare, la spiaggia è breve. Di sera la risacca bagna la luminosità delle stelle, il mare color del petrolio si culla brillando nella pupilla di ogni sguardo. Il tipo con il furgone wolkswagen westfalia con la veranda di fianco i calzoni da frichettone le babucce i capelli lunghi sfilacciati ascolta un pezzo reggae. Dopo qualche decina di minuti, capisco che non scherza: gli piace il raggae per davvero. Le canzoni sono già parecchie da un po': le ascolto abbastanza volentieri, seguo la ritmica sempre quella all'inizio tump ta tap tump ta tap e via col brano che è sempre la stessa solfa: non mi lascio andare alla ritmica nemmeno con i piedi per non sollecitarlo. Come non detto. Il tipo non so perchè, fino a quel momento non dava cenni di ossessione, tira fuori il bongo, si mette ad accompagnare i brani reggae. E' capacino, non storpia i brani nemmeno ci canta sopra. Come non detto. Evidentemente si rulla su un cannone di troppo, inizia a cantare come una rana, sbaglia il tempo sembra un cane che corre con la catena che gli fa scintille sull'asfalto: ta ta tu tump, zamp tap zu zum traapatà, non capisco chi canta la canzone, il ritmo la stessa canzone: il cagnetto gli zampetta tra le gambe abbaia intonato più del bongo e della canzone che sta cantando con voce roca alla Tom Waits, mi vien da dire" ste par de p..." Gli è scesa la catena. Pare di assistere alla diretta radio di un sabato notte reggae- drum-base - dal centro sociale del Leoncavallo di Milano: nel frattempo è venuto mezzanotte. Il tipo non si dà pace, beve per rimanere lucido è tutto un dire, vuol dimostare a se stesso che è un ottimo accompagnatore col bongo e bongheggia come un ossesso su tutti i rumori che la sua testa gli dice da stordito sente. Per farlo smettere scelgo dalla mia discografia un pezzo da contrastare l'invasione ossessa del reggae alla marinara che col bongo non mi fa dormire. Thunderstruck degli Ac Dc a manetta, nel frattempo canto anche Faccetta nera / sarai Romana la tua bandiera sarà sol quella Italiana / noi marceremo assieme a te / e sfileremo avanti al Duce e avanti al Re /. La và o la spacca: ci litighiamo, non se ne parla più.
domenica 4 settembre 2016
quattrocent'ottantasei
-I motociclisti cecoslovacchi -
Compaiono a caschi bianchi sull'asfalto, mi superano nella corsia di sorpasso vestiti da motociclisti, in piena velocità rilassati sul cavallo di acciaio si accostano l'uno all'altro, accelerano decelerano nella corsia cenrale, parlottano a gesti, espressioni con le mani guantate, qualcuno annuisce con la testa bianca del casco, il fazzoletto da cow-boy sulla bocca, il giubbotto nero; sul portapacchi ognuno ha la tenda arrotolata, le solite cose che ci si porta quando si dormirà all'aperto in ogni luogo di mare. All'unisono come un nugolo di vespe nere virano nella corsia di sorpasso, all'inseguimento del tempo penetrano la luce del tramonto che compare davanti a noi, superano il sole deviano a gran velocità scendono in direzione del ponte, vedo laggiù che congiunge la terra ferma all'isola. Si dileguano sul ponte, lampi fulminei sulla corsia di sorpasso ripiegati a piloti degli anni 70 sulla loro moto da corsa.
quattrocent'ottantacinque
- La ragazza americana-
La ragazza americana con la chioma bionda indossa il cappello di paglia col fiocco annodato a numero otto di tessuto ecrù. Il costume un bikini nero col reggiseno blu sulla pelle chiara; sceglie il luogo sulla spiaggia, stende il telo mare, la borsa intrecciata di canapa rigida semi aperta dove un telo piegato emerge, si corica, rovista nella borsa, toglie il telefono cellulare, si scatta un selfie spalle al mare, lo ripone nella borsa. Dopo qualche ora di abbronzatura sdraiata, seduta col sorriso si ravvia la chioma, si aggiusta il cappello, guarda il mare abbracciandosi le ginocchia. Vede l'infinito, contempla i propri pensieri, li medita: un pensiero, un desiderio, una soluzione, un dubbio, la realtà delle proprie dita del piede infilate nella sabbia, calda in superficie, tiepida, fresca in profondità. Paiono conchiglie di carne, unghie dal fiore vermiglio, compaiono scompaiono in un gioco divino.
quattrocent'ottantaquattro
- Non è avvenuto nulla di chè -
Se il caffè lo desidero servito al banco o al tavolo seduto. Rispondo seduto, cambio immediatamente opinione, quando vedo che la barista prende la tazzina di polistirolo la mette sotto il gruppo del caffè, per servirmela al tavolo. Tazzina di porcellana a banco, di polistirolo al tavolo. Mi affretto a dire che il caffè nel polistirolo non lo gradisco, preferisco la tazzina in porcellana. La barista mi risponde che è troppo tardi. Per farle capire che il caffè è una scelta individuale, rito, per chi lo ama, le dico che pago il caffè nella tazza di polistirolo anche se non lo bevo: me ne fa un'altro nella tazzina in ceramica. Interviene un avventore a banco dallo zelo misurato che pare interessato, immagino di chi si trovi in borghese nel luogo in cui lavora, per dirimere la questione: con garbo alla barista rigida fa segno di servirgli il caffè nel polistirolo, accontentandomi come cliente. L'aiuto barista che serve misuratamente i piattini ai clienti, le relative tazzine di polistirolo o di ceramica a seconda della scelta del cliente di dove stare, stordito dalla querelle del mio tuo, mio tuo, suo a chi lo do sto caffè a questo a quello ? visto l'intervento dell'avventore in borghese disposto a bere il caffè nel polistirolo,inizia a guardarmi, come fosse un condor delle Ande piombato sul cornicione di una casa in periferia tra via Sabotino angolo Venturelli; sbircia la barista fosse vestita da sorella di Satana, l'avventore in borghese che gli pare possa risolvere la questione ingarbugliata gli vede la tunica del Santo, nello stordimento dell'alleanza con l'avventore in borghese con cui forse lavora, si sente straniato: tazzina del caffè in mano la testa che gli gira, la mia la taglierebbe con un'accettata; mi si avvicina insicuro col timore di sbagliare, se lo riprendo fa una figuarccia da tonto che rimane, con la luce d'un'occhio accesa risponde a ordini contrordini della sorella di Satana, nel frattempo l'avventore in borghese che ha maturato la sensazione di aver fatto il passo più lungo della gamba, non vuole intromettersi più del necessario, la situazione da imbarazzante sta montando antipatica comincio a sfoderare un linguaggio tra il tagliagole e l'ergastolano. Con accenni spazientiti di chi vuole mollare i cavalli per sacramentare un campionario di Madonne variopinte che fanno vergognare chiunque sdegnandolo: arriva un terzo cliente. Con sorpresa appena fa cenno al barista straniato ordinando un caffè, il barista si risveglia servendoglielo immediatamente. La barista sorella di Satana si rende conto di aver acceso una miccia a fiamma rapida, la rigidità della suo modo di porsi col cliente nel qual caso io, ha creato una sostanza senza nome, esplosiva innescata negli avventori uomini, ha generato un vespaio sulla testa di tutti, guerra non voluta ma inevitabile cui non si trova rimedio. L'astio impalpabile della situazione irrimediabilmente che sfugge mi ha indispettito, straniato il barista, l'avventore borghese ha maturato un senso di colpa, il terzo ignaro il caffè se lo sorbisce col groppo in gola immediatamente subodora la tensione che vibra nell'aria, con la sensazione di essere sorvegliato dalla spada di Damocle che gli scende sul collo; arriva il quarto avventore tranquillo come un Dalai Lama che ordina il caffè. Nessuno gli chiede se lo beve a banco, a tavolo, se desidera la tazzina di porcellana di polistirolo. Un Deus ex machina deve aver sostituito la barista sorella di Satana con un'altra, la quale con garbo, gentilezza da non militante, mi serve finalmente il caffè nella tazzina di porcellana assieme al quarto avventore tranquillo come un Dalai Lama il quale al tavolo sorbisce il caffè moderatamente bascula lentamente la tazzina in bocca riflettendo ai casi suoi, silente percepisce il movimento della gente a fare il bagno o prendere la tinatrella. L'avventore in borghese si è defilato nel corso del bailamme imbarazzante, l'avventore che pensava alla spada di Damocle scomparso, l'avventore Dalai Lama seduto al tavolo legge una rivista. Il barista straniato dalla confusione guarda l'orologio si toglie il grembiule finisce il turno di lavoro. La barista sorella di Satana sostituita, fa capolino da una porta di servizio mi guarda ed esce. Tutto si dissolve come nulla fosse avvenuto in un bel pomeriggio di sole.
domenica 3 luglio 2016
quattrocent'ottantatrè
Pulp :)
Ronnie Kippa è seduto al tavolino per mangiare l'amburger, esco dal bagno non mi riconosco. Sono sdoppiato, colui che vedo è Zen, eppure sono qui. Sento di essere gemello monozigota. Mi siedo con Ronni Kippa discutiamo delle muse che son tutte, tranne nostra madre. Poi il discorso cambia si fa più profondo, discutiamo della trama di Star Wars, su cui non siamo d'accordo. Lasciamo perdere gli atriti tra noi, insormontabili. Discutiamo di cibo, ci infastidisce come l'amburger sia preso di mira dai dietologi, intellettuali, mentre li mangiamo con voracità gusto, mandiamo a quel paese l'intellighenzia a imprecazioni come raccomandazione; siamo nella Nazione in cui la raccomandazione è necessaria per tutte le attività; sorseggiamo la birra a doppio malto, ruttiamo in coda da animali del sabato sera con gli occhi lucidi di alcool. Per magia mentre mi avvicino, la barista che serve le birre assomiglia a Wanda Flintstone, viceversa da lontano seduto con Ronnie Kippa le vedo nel cranio una stalattite fissa come bandiera americana sulla Luna, appesa al soffitto del cranio una stalagtite retta dal filo d'acciaio è semaforo all'incrocio. A terra lo spartitraffico tratteggia di giallo la modernità. Vestita da sposa come manichino nel negozio di abiti da matrimonio, ride a crepapelle della famiglia Flintstone di cui fa parte. Tradisce il marito durante la festa d'inaugurazione che le autorità presiedono svelando la statua della fertilità ai cittadini, chiamati così. Un somaro in maglia da supeman dalla virilità priapesca cui si legano monili oggetti apotropaici per allontanare la sfortuna ed evocare il piacere, fissa alla statua la targa che recita - questo si che è superuomo - L'islam contrario alla democrazia che offende, invia una fatwa. Dalle autorità viene indetta una conferenza stampa per cercare di spiegare ai cittadini il perchè si deve demolire la statua appena inaugurata. La ministra indossa il chador, ama il burqua, nel suo guardaroba conserva il niqab, regalatole da una sguattera emancipata dell'Islam: non sà che pesci pigliare si consulta con un'amica prima del discorso ufficiale, la quale le consiglia di prenderne uno a caso tra i vari Imam, dopo avergli alzato la veste ne colpisci uno per insegnare a tutti, ammorbidisci la posizione integralista e lo distendi. Come sempre le donne sanno il fatto loro e sono convincenti, anche l'uomo stupido comprende l'arte dell'eros. La guerra di religione è fuori da ogni problema. I cittadini possono continuare tranquillamente a credere alle favole, alle sciocchezze, ai maitre a penser che fingono di pensare, i cittadini d'essere cittadini con le ragioni dell'asso sotto strozzo, al gioco della briscola, artisti di essere unici ecc. L'importante è consumare. Apro gli occhi, mi pare di avere avuto un incubo di cui non ricordo un gran chè. Guardo l'orologio sul comodino sono le 05:10 del mattino tra poco suona la sveglia. Rimango con gli occhi aperti sul letto, guardo il silenzio sui tetti delle case, le antenne, gli alberi, i balconi, le finestre aperte dal caldo, si muove sulle superfici lieve l'aurora in penombra, la vettura accende il motore nel cortile del condominio a fianco; penso che d'inverno la cosa che faccio appena sveglio sia recitare preghiere, creo un vortice, che mi fa sorridere e di cui non sono consapevole. D'estate quasi mai, però mi curo di non abbandonare quel fuoco che arde e mi consiglia la preghiera prima di uscire. Mi alzo cerco il fresco del pavimento in marmo, cammino a piedi nudi. Preparo la colazione.
Ronnie Kippa è seduto al tavolino per mangiare l'amburger, esco dal bagno non mi riconosco. Sono sdoppiato, colui che vedo è Zen, eppure sono qui. Sento di essere gemello monozigota. Mi siedo con Ronni Kippa discutiamo delle muse che son tutte, tranne nostra madre. Poi il discorso cambia si fa più profondo, discutiamo della trama di Star Wars, su cui non siamo d'accordo. Lasciamo perdere gli atriti tra noi, insormontabili. Discutiamo di cibo, ci infastidisce come l'amburger sia preso di mira dai dietologi, intellettuali, mentre li mangiamo con voracità gusto, mandiamo a quel paese l'intellighenzia a imprecazioni come raccomandazione; siamo nella Nazione in cui la raccomandazione è necessaria per tutte le attività; sorseggiamo la birra a doppio malto, ruttiamo in coda da animali del sabato sera con gli occhi lucidi di alcool. Per magia mentre mi avvicino, la barista che serve le birre assomiglia a Wanda Flintstone, viceversa da lontano seduto con Ronnie Kippa le vedo nel cranio una stalattite fissa come bandiera americana sulla Luna, appesa al soffitto del cranio una stalagtite retta dal filo d'acciaio è semaforo all'incrocio. A terra lo spartitraffico tratteggia di giallo la modernità. Vestita da sposa come manichino nel negozio di abiti da matrimonio, ride a crepapelle della famiglia Flintstone di cui fa parte. Tradisce il marito durante la festa d'inaugurazione che le autorità presiedono svelando la statua della fertilità ai cittadini, chiamati così. Un somaro in maglia da supeman dalla virilità priapesca cui si legano monili oggetti apotropaici per allontanare la sfortuna ed evocare il piacere, fissa alla statua la targa che recita - questo si che è superuomo - L'islam contrario alla democrazia che offende, invia una fatwa. Dalle autorità viene indetta una conferenza stampa per cercare di spiegare ai cittadini il perchè si deve demolire la statua appena inaugurata. La ministra indossa il chador, ama il burqua, nel suo guardaroba conserva il niqab, regalatole da una sguattera emancipata dell'Islam: non sà che pesci pigliare si consulta con un'amica prima del discorso ufficiale, la quale le consiglia di prenderne uno a caso tra i vari Imam, dopo avergli alzato la veste ne colpisci uno per insegnare a tutti, ammorbidisci la posizione integralista e lo distendi. Come sempre le donne sanno il fatto loro e sono convincenti, anche l'uomo stupido comprende l'arte dell'eros. La guerra di religione è fuori da ogni problema. I cittadini possono continuare tranquillamente a credere alle favole, alle sciocchezze, ai maitre a penser che fingono di pensare, i cittadini d'essere cittadini con le ragioni dell'asso sotto strozzo, al gioco della briscola, artisti di essere unici ecc. L'importante è consumare. Apro gli occhi, mi pare di avere avuto un incubo di cui non ricordo un gran chè. Guardo l'orologio sul comodino sono le 05:10 del mattino tra poco suona la sveglia. Rimango con gli occhi aperti sul letto, guardo il silenzio sui tetti delle case, le antenne, gli alberi, i balconi, le finestre aperte dal caldo, si muove sulle superfici lieve l'aurora in penombra, la vettura accende il motore nel cortile del condominio a fianco; penso che d'inverno la cosa che faccio appena sveglio sia recitare preghiere, creo un vortice, che mi fa sorridere e di cui non sono consapevole. D'estate quasi mai, però mi curo di non abbandonare quel fuoco che arde e mi consiglia la preghiera prima di uscire. Mi alzo cerco il fresco del pavimento in marmo, cammino a piedi nudi. Preparo la colazione.
quattrocent'ottantadue
Pastiche :)
Via Paolo Guaitoli, detta via della catena: campeggia nella bandierina da tramezzino la scritta - dwarf - sul cappello dello gnomo, porta in braccio la fortuna bendata da cima a fondo sul cucuzzolo: un glande al termine del piletto unito dalla catena spessa d'oro massiccio, all'altro piletto. Nottetempo un uomo tenta d'impadronirsi della catena rimane fulminato. Un secondo anch'egli fulminato come il primo si trasforma in oro. Altri uomini rimangono abbagliati dall'oro vengono fulminati, donne, bambini, vecchi, pensionati, ragazze, piazza Martiri brilla di statue immobili d'oro di gente fulminata. Si forma il popolo d'oro che estingue la generazione futura in men che non si dica. Maradona ricciuto, detto: pibe de oro guida il tre ruote sulle strade delle isole Eolie poco distanti dalla piazza irrompe da venditore di cocomeri col megafono invita ad assaggiarne una fetta. Li trasporta impilati a piramide sul cassone dall'Apecar. Dallo stereo le note escono per le orecchie del popolo d'oro che non ode la ritmica dei Chemical Brothers tantomeno la voce di Maradona. Fumo un sigaro che mi offre Virgilio sceso dalla moto da trial, osservo la piazza d'oro. Maradona come al mercato tra uomini immobili e lucenti, col megafono strilla la bontà delle sue cocomere. Arriva in contemporanea l'occhiale da sole con le lenti verdi dietro il viso di William Burroughs: guida la jeep piena di casse di Whisky, Bourbon del Kentucky, incurante e freddo, lancia biglietti da visita ne raccolgo uno. C'è scritto - killer is my name - mostra con orgoglio il fucile di platino a canne mozze, gli dico << è ottimo >> Virgilio annuisce mentre distrattamente impegnato come al solito, toglie la stella nera sul casco bianco, William apre il gabardin, all'interno minuscole tasche dove trovano posto le siringhe, lacci emostatici, cucchiaini, tutto il materiale per iniettarsi cocaina, dalla jeep scendono altre persone che non avevo scorto, tutte dicono di chiamarsi, Jack Kerouak. Uno di loro, mi consegna un romanzo che non ha pubblicato, l'incipit della trama inizia così. " La corsa di traditori scherani tentano la fuga impossibile, urla miste gioia del popolo, morti scomposti mostrano le viscere fuoriuscire dai corpi impiccati, la pietà abolita, ogni stirpe bastarda massacrata col favore del cielo, il sangue scorre puzza di ferro, trascina l'umanità cadavere, bocca priva di respiro per chi ha premiato la dittatura; chi mostra le vergogne appeso al palo, soffoca chi legate le mani ingoia denaro avvoltolato, l'asfissia è lussuria risa a spirale di serpente, l'eco sale, le trombe risuonano dalla scala magica impietosa, la dittatura spoglia, nuda, annientata, litri d'oro fuso bevuto dalla mediocrità fuori dal petto, braccia carbonizzate private del corpo, cumuli di denti, mandibole, teschi dalla calotta segata riempita di terra seminata innaffiata, immediato il germoglio di centinaia di garofani in camicia nera, a migliaia ricordano la libertà, l'identità, la lingua, le radici, la Nazione ". Jack Kerouak monta in jeep. Il futuro lo branco al volo nelle ali d'un gabbiano. Gli lego le zampe con filo argentato, lo ribalto tenendolo a testa in giù come un gallinaceo acquistato al mercato, con l'operazione chirurgica gli innesto due orecchie umane, foro i lobi per chiudere la clip di due orecchini, diamanti provenienti dalle miniere del Sud Africa durante l'aparheid, col sangue della rivolta abbevero gli altri gabbiani, si nutrono in discarica. Virgilio chiacchiera con Budda Disilluminato entrambi sotto la coltre buio sagomato ridotto a donna malefica. La ignorano come un riff di chitarra ignora il rullare di batteria. Maradona palleggia con un cocomero che si spappola a colpi di punzone. La jeep guidata da William Borroughs col gabardin gli occhiali da sole dalle lenti verdi, scompare all'angolo di via Berengario. Jack Kerouak scarica la bicicletta dalla jeep, un mazzo di garofani legati al campanello, saluta le statue d'oro irridendole in napoletano ad alta voce in modo che tutti lo sentano dice << appèn aò vìrìmm ce nè fùimme >> ( appena lo vediamo ce ne fuggiamo ) mi chiedo: a chi può essere rivolta una frase del genere ? non alle statue, che pur irridendole, le mette in guardia da una seccatura. Detta la frase come pazzo oracolo si dilegua pedala in tutta fretta, torna nel regno dei morti. Apro gli occhi al trillo del campanello. Rispondo al citofono, è Caterina Lisieux. Mi chiede se andiamo al cinema avedere il film dei f.lli Cohen le rispondo di si. Caterina mi rilassa, ho voglia di vederla, e mi dice << mi son detta chissà se è in casa Zen ?>>.
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